Proveniente da studi tecnici e artistici, il giovane Berti compie varie esperienze pittoriche formative approdando a una rappresentazione del reale peso con forte segno espressionista, con il quale raffigurerà il dramma della sua città ferita dalla guerra. Nel ’45 aveva fondato con altri giovani artisti e intellettuali comunisti la rivista “Torrente”, esauritasi dopo pochi numeri, dalla quale si formeranno intese che, nel ’46, assieme ad un allargato gruppo di artisti, porteranno alla fondazione del movimento Arte d’oggi; nello stesso anno Berti terrà la sua prima personale alla Galleria La Porta.
Con Nativi, Bozzolini, Monnini, Brunetti e lo scultore Lardera, formerà all’interno di Arte d’oggi una sorta di ala oltranzista sostenitrice dell’astratto. Un passo che Berti compirà definitivamente nel ’47 con Composizione verticale e poi con Simbolo, opera che anche nel titolo alludeva al superamento compiuto. Così, con Brunetti, Monnini e Nativi spazzerà via le varie dialettiche figurative in seno al gruppo, promuovendo un’attività espositiva che porterà l’astrattismo fiorentino – al quale si era poi convertito anche Nuti – al dialogo con le neo-avanguardie nazionali. Nel 1950, dopo una collettiva alla Galleria Vigna Nuova chiosata da un Manifesto su Una poetica dell’Astrattismo Classico, il gruppo dichiarerà il proprio scioglimento, e Berti proseguirà la sua ricerca verso un astrattismo costruttivo. Nel ’51 esporrà alla Galleria D’Arte Moderna di Roma, nel ’55 alla mostra pratese di Ragghianti Sessanta maestri del prossimo trentennio e nel ’57 alla Strozzina di Firenze con un’antologia di opere dal 1940 al 1947. Nel ’59 sarà presente alla Quadriennale di Roma e nel ’63 vincerà in premio Il Fiorino di Firenze. Anni in cui nascono, quali tesi d’“ampliamento”, i cicli dell’Espan-sioni dell’Astrattismo classico, le Cittadelle ostili, le Brecce nel tempo, l’Avventuroso astrale che arriverà fino alla metà degli anni Sessanta. E quindi le Cittadelle della Resistenza e Realtà antagonista, fino alla Visione verso l’alto che dalla metà degli anni Settanta introdurrà i vari Guardare in alto che ancor più sottolineano una fervida speranza di riscatto. Notevole la sua attività grafica, per la quale nel ’68 sarà invitato a Venezia alla Biennale dell’Incisione. Berti è stato attivissimo dagli anni Trenta anche nella fumettistica per ragazzi, creando negli anni personaggi come Chiodino e Atomino, fino alla successiva rivisitazione di Pinocchio. I suoi diari, lettere e disegni sono stati recentemente donati all’Archivio Centrale dello Stato a Roma.
Il disegno a penna del Soldato in riposo risale, come da autografia, eseguito a Banne presso Trieste nel 1942, località dove Berti prestava servizio militare. Un periodo che era iniziato nell’agosto di quell’anno e che si sarebbe protratto fino al luglio dell’anno successivo, durante il quale l’artista partecipò a una mostra per artisti e artigiani in armi organizzata a Trieste nel ridotto del Teatro Verdi.
La figura del soldato tratteggiata a penna, espressa in una crudezza che Berti definirà “realismo di guerra”, riposa inerme, spoglia da ogni bellicosità. È l’uomo che in questa rappresentazione spontaneamente affiora: il dimesso, antieroico uomo-operaio-contadino che in panni a lui estranei riposa come in una pausa della battitura o della vendemmia, o del suo turno in fabbrica. Antieroica figura che richiama nello scabro sunto, tracciato con “aspro realismo”, analoghe narrazioni che Quinto Martini si preparava a esprimere col medesimo scarno racconto grafico sul tema della guerra.
Le due Figure femminili del ’47 disegnate ancora a penna, fanno parte di un mutato fronte esistenziale. In un riassunto del proprio cammino, dieci anni dopo Berti scriverà: “Sono di quella generazione di pittori che, cominciata la propria esperienza durante la seconda guerra mondiale, si è maturata rapidamente al contatto della tragedia, della passione umana, della sofferenza diretta, da sortirne per una parte bruciata, ma per il resto, quella che mi interessa, libera, orgogliosa e ostile”.
“Ostilità” principalmente ideologica nei confronti di quella società che aveva portato la nazione alla tragedia. E, per traslato, “ostilità” nei confronti di tutta una cultura che, secondo lui e tutta la linea vetero marxista, si era adagiata nei canoni estetici della dittatura fascista, come “quel nostrale, ordinato, paesano o strapaesano ’900” e alla sua appendice tonalistica mormorata in dialetto romanesco o meneghino da quella “generazione di mezzo” (che è stata e sarà sempre giubilata “generazione di mezzo”) malinconicamente ancorata ai resti di “900” e in cerca, senza mai trovarlo, di quello che a noi la guerra, la vita, la congenita necessità di libertà, hanno dato in sorte di trovare”.
Per la società che ora stava faticosamente rinascendo, Berti rivendicava, assieme a un radicale mutamento politico proveniente dal popolo, la necessità di un’altrettanto radicale revisione dei valori estetici, nella convinzione che, come aveva scritto nel ’44, “Non si può fare arte contemporanea se non si è tolta la propria esperienza dalla vita stessa del popolo”. Premesse dalle quali era appunto partita la battaglia revisionista di Berti e di altri giovani pittori aderenti al PCI, come Farulli, Brunetti e Nativi, conosciuti nel ’45 durante la breve vita della rivista “Torrente”, con i quali sortirà quell’intesa che porterà l’anno seguente, con un allargato gruppo di artisti di varia formazione e provenienza, alla fondazione di “Arte d’oggi”.
Dopo la pubblicazione del loro manifesto nella mostra tenuta alla Galleria Vigna Nuova nel giugno del 1950, il gruppo dei cinque astrattisti classici ritenne conclusa l’esperienza collettiva. Dopo una replica della mostra, portata polemicamente a Venezia essendo stata loro negata la presenza alla XXV Biennale, ognuno prenderà la sua strada.
D’altro canto anche per altri gruppi d’avanguardia, come a Roma Forma 1, si stavano configurando analoghe crisi, originate da più ragioni interne ed esterne, ma la cui fondamentale si identificava con il ritorno all’ordine delle sfere culturali del PCI. Il che voleva significare l’adesione togliattiana alla linea del realismo zdanoviano, la cui conseguenza era la messa al bando d’ogni espressione artistica ritenuta di marca reazionaria, “imperialista e borghese”, ritenuta fuorviante e incomprensibile dal popolo. Quindi anche l’astrattismo, pur promosso da artisti di provata fede comunista, era stato bandito dal partito dopo la scomunica internazionalista pronunciata nel 1948 al congresso di Wroclaw.
Presi tra due roghi, quello di vecchia data alimentato dalla cultura “borghese” fiorentina e quello recente ma non meno pericoloso divampato in casa propria, il gruppo, che doveva regolare i suoi conti anche con non più trascurabili polemiche interne, dovette prendere atto dell’impossibilità di prosecuzione di un’arte a fine collettivo.
Vinicio Berti proseguì la sua ricerca sulle basi di un astrattismo classico riferito all’evoluzione sociale. Un’evoluzione che inquadrata in congenialità “costruttive”, suggerirà all’artista il concetto di espansione quale dilatazione dell’astrattismo, inteso come metafora del progresso umano.
Il disegno di Costruzione e il dipinto Senza Termine qui esposti, fanno parte dei risultati di questa solitaria ricerca, coniugazione tra la dinamica boccioniana della Città che sale e i segni emotivi e pulsanti di quell’attuale realtà in “espansione”. Concetti che l’artista esprimerà per mezzo di fitte scansioni monocromatiche simulanti una grafia, suggerenti in astratto ma con grande efficacia narrativa il ritmo costruttivo di una crescita che avrà il suo caposaldo in un dipinto del ’52, costruito in una concezione prospettico-dinamica dello spazio che non a caso l’artista intitolerà Espansione dell’Astrattismo Classico.
Su tali spunti di ricerca (che dal primario e più asettico concetto astrattivo si evolve quale registrazione emotiva degli accadimenti umani) sorgeranno sulla metà del decennio le Cittadelle ostili, ovvero astrazioni “oppositive” alle varie rimonte di potere nella Firenze “ormai spenta ad ogni istanza di rinnovamento”. Seguiranno Brecce nel tempo, ricerca verso uno spazio nuovo, strutture prevalentemente impostate in verticale che si ergono in un concitato sovrapporsi di segni e di colori. Il disegno a pennello del ’56 qui esposto, corrisponde a una “breccia” isolata, materia ancora allo stadio embrionale e di studio, destinata a una sua configurazione spaziale nella magmatica coralità di un dipinto.
Ogni ciclo dell’astrattismo di Vinicio Berti continua nel suo intento di guardare all’uomo, ai suoi drammi sociali come alle sue conquiste spaziali. Così la tematica dell’Avventuroso astrale, che sintomaticamente si era aperta nel ’57 con Figurazione astrale, proseguendo fino alla metà degli anni Sessanta con grandi dipinti che di volta in volta registreranno l’avventura umana nello spazio. Da tali risultati si “espande” la riflessione sul concetto “eiensteiniano” dello spazio-tempo, a cui riporta anche il disegno del ’64 della Divisione quantistica dello spazio. Spazio e tempo riproposti in una artistica, umana utopia, per la cui narrazione fantastica l’artista si era aggiudicato nel ’63 il premio del Fiorino.
Di diversa natura sarà il ciclo, nella seconda metà degli anni Sessanta, delle Cittadelle della resistenza, costruzioni sorte quali conchiusi baluardi entro cui rifugiarsi con le proprie utopie. Con tali costruzioni in verticale Berti torna al sunto grafico del proprio racconto dopo l’orgia materica del colore dei cicli precedenti. Lo Studio per struttura e la Struttura 1947-1966 qui illustrati, mostrano nel nuovo ciclo bertiano l’impiego della tempera gialla abbinata al segno strutturale in nero, che da quel periodo avrà sempre più importanza nell’opera dell’artista. La necessità costruttiva verso l’alto, sperimentata in tale ciclo, si riaffermerà decisamente nell’ultimo decennio della sua vita.
Di questa vigorosa volontà di costruzione, il disegno Scena progetto 1 del ’73 può sembrare un possibile avvicinamento: come se a guardare Dal basso in alto – che risponde appunto al corrispettivo ciclo degli anni ’75-’82 – d’una progettata struttura, l’artista-architetto osservasse dall’interno di questa il salire degli elementi costruttivi.
Sarà nel 1983 che prenderà corpo la già annunciata volontà di “guardare in alto”, aggettivando negli anni quella che sarà la sua immutabile volontà fino alla morte: Guardare in alto faticosamente, Guardare in alto solitamente, Guardare in alto irreversibilmente, Guardare in alto materialmente. Astrazione ascensionale con la quale l’artista preparerà nel 1989 la litografia a tre colori per l’anniversario della Liberazione commisionatagli dal Comune di Firenze.
Guardare in alto terribilmente del 1988-89, è uno tra i più vigorosi componimenti della serie. Una costruzione che si erge in un concerto strutturale tessuto dai prediletti accostamenti di colore nero-blu-rosso verso uno spazio squarciato dal bianco. Una vertiginosa dinamica ascensionale che pare proiettarsi verso quell’“alto”, in un lucido, laico anelito di liberazione da ogni “antagonismo”.
Dopo la pubblicazione del loro manifesto nella mostra tenuta alla Galleria Vigna Nuova nel giugno del 1950, il gruppo dei cinque astrattisti classici ritenne conclusa l’esperienza collettiva. Dopo una replica della mostra, portata polemicamente a Venezia essendo stata loro negata la presenza alla XXV Biennale, ognuno prenderà la sua strada.
D’altro canto anche per altri gruppi d’avanguardia, come a Roma Forma 1, si stavano configurando analoghe crisi, originate da più ragioni interne ed esterne, ma la cui fondamentale si identificava con il ritorno all’ordine delle sfere culturali del PCI. Il che voleva significare l’adesione togliattiana alla linea del realismo zdanoviano, la cui conseguenza era la messa al bando d’ogni espressione artistica ritenuta di marca reazionaria, “imperialista e borghese”, ritenuta fuorviante e incomprensibile dal popolo. Quindi anche l’astrattismo, pur promosso da artisti di provata fede comunista, era stato bandito dal partito dopo la scomunica internazionalista pronunciata nel 1948 al congresso di Wroclaw.
Presi tra due roghi, quello di vecchia data alimentato dalla cultura “borghese” fiorentina e quello recente ma non meno pericoloso divampato in casa propria, il gruppo, che doveva regolare i suoi conti anche con non più trascurabili polemiche interne, dovette prendere atto dell’impossibilità di prosecuzione di un’arte a fine collettivo.
Vinicio Berti proseguì la sua ricerca sulle basi di un astrattismo classico riferito all’evoluzione sociale. Un’evoluzione che inquadrata in congenialità “costruttive”, suggerirà all’artista il concetto di espansione quale dilatazione dell’astrattismo, inteso come metafora del progresso umano.
Il disegno di Costruzione e il dipinto Senza Termine qui esposti, fanno parte dei risultati di questa solitaria ricerca, coniugazione tra la dinamica boccioniana della Città che sale e i segni emotivi e pulsanti di quell’attuale realtà in “espansione”. Concetti che l’artista esprimerà per mezzo di fitte scansioni monocromatiche simulanti una grafia, suggerenti in astratto ma con grande efficacia narrativa il ritmo costruttivo di una crescita che avrà il suo caposaldo in un dipinto del ’52, costruito in una concezione prospettico-dinamica dello spazio che non a caso l’artista intitolerà Espansione dell’Astrattismo Classico.
Su tali spunti di ricerca (che dal primario e più asettico concetto astrattivo si evolve quale registrazione emotiva degli accadimenti umani) sorgeranno sulla metà del decennio le Cittadelle ostili, ovvero astrazioni “oppositive” alle varie rimonte di potere nella Firenze “ormai spenta ad ogni istanza di rinnovamento”. Seguiranno Brecce nel tempo, ricerca verso uno spazio nuovo, strutture prevalentemente impostate in verticale che si ergono in un concitato sovrapporsi di segni e di colori. Il disegno a pennello del ’56 qui esposto, corrisponde a una “breccia” isolata, materia ancora allo stadio embrionale e di studio, destinata a una sua configurazione spaziale nella magmatica coralità di un dipinto.
Ogni ciclo dell’astrattismo di Vinicio Berti continua nel suo intento di guardare all’uomo, ai suoi drammi sociali come alle sue conquiste spaziali. Così la tematica dell’Avventuroso astrale, che sintomaticamente si era aperta nel ’57 con Figurazione astrale, proseguendo fino alla metà degli anni Sessanta con grandi dipinti che di volta in volta registreranno l’avventura umana nello spazio. Da tali risultati si “espande” la riflessione sul concetto “eiensteiniano” dello spazio-tempo, a cui riporta anche il disegno del ’64 della Divisione quantistica dello spazio. Spazio e tempo riproposti in una artistica, umana utopia, per la cui narrazione fantastica l’artista si era aggiudicato nel ’63 il premio del Fiorino.
Di diversa natura sarà il ciclo, nella seconda metà degli anni Sessanta, delle Cittadelle della resistenza, costruzioni sorte quali conchiusi baluardi entro cui rifugiarsi con le proprie utopie. Con tali costruzioni in verticale Berti torna al sunto grafico del proprio racconto dopo l’orgia materica del colore dei cicli precedenti. Lo Studio per struttura e la Struttura 1947-1966 qui illustrati, mostrano nel nuovo ciclo bertiano l’impiego della tempera gialla abbinata al segno strutturale in nero, che da quel periodo avrà sempre più importanza nell’opera dell’artista. La necessità costruttiva verso l’alto, sperimentata in tale ciclo, si riaffermerà decisamente nell’ultimo decennio della sua vita.
Di questa vigorosa volontà di costruzione, il disegno Scena progetto 1 del ’73 può sembrare un possibile avvicinamento: come se a guardare Dal basso in alto – che risponde appunto al corrispettivo ciclo degli anni ’75-’82 – d’una progettata struttura, l’artista-architetto osservasse dall’interno di questa il salire degli elementi costruttivi.
Sarà nel 1983 che prenderà corpo la già annunciata volontà di “guardare in alto”, aggettivando negli anni quella che sarà la sua immutabile volontà fino alla morte: Guardare in alto faticosamente, Guardare in alto solitamente, Guardare in alto irreversibilmente, Guardare in alto materialmente. Astrazione ascensionale con la quale l’artista preparerà nel 1989 la litografia a tre colori per l’anniversario della Liberazione commisionatagli dal Comune di Firenze.
Guardare in alto terribilmente del 1988-89, è uno tra i più vigorosi componimenti della serie. Una costruzione che si erge in un concerto strutturale tessuto dai prediletti accostamenti di colore nero-blu-rosso verso uno spazio squarciato dal bianco. Una vertiginosa dinamica ascensionale che pare proiettarsi verso quell’“alto”, in un lucido, laico anelito di liberazione da ogni “antagonismo”.
Dopo la pubblicazione del loro manifesto nella mostra tenuta alla Galleria Vigna Nuova nel giugno del 1950, il gruppo dei cinque astrattisti classici ritenne conclusa l’esperienza collettiva. Dopo una replica della mostra, portata polemicamente a Venezia essendo stata loro negata la presenza alla XXV Biennale, ognuno prenderà la sua strada.
D’altro canto anche per altri gruppi d’avanguardia, come a Roma Forma 1, si stavano configurando analoghe crisi, originate da più ragioni interne ed esterne, ma la cui fondamentale si identificava con il ritorno all’ordine delle sfere culturali del PCI. Il che voleva significare l’adesione togliattiana alla linea del realismo zdanoviano, la cui conseguenza era la messa al bando d’ogni espressione artistica ritenuta di marca reazionaria, “imperialista e borghese”, ritenuta fuorviante e incomprensibile dal popolo. Quindi anche l’astrattismo, pur promosso da artisti di provata fede comunista, era stato bandito dal partito dopo la scomunica internazionalista pronunciata nel 1948 al congresso di Wroclaw.
Presi tra due roghi, quello di vecchia data alimentato dalla cultura “borghese” fiorentina e quello recente ma non meno pericoloso divampato in casa propria, il gruppo, che doveva regolare i suoi conti anche con non più trascurabili polemiche interne, dovette prendere atto dell’impossibilità di prosecuzione di un’arte a fine collettivo.
Vinicio Berti proseguì la sua ricerca sulle basi di un astrattismo classico riferito all’evoluzione sociale. Un’evoluzione che inquadrata in congenialità “costruttive”, suggerirà all’artista il concetto di espansione quale dilatazione dell’astrattismo, inteso come metafora del progresso umano.
Il disegno di Costruzione e il dipinto Senza Termine qui esposti, fanno parte dei risultati di questa solitaria ricerca, coniugazione tra la dinamica boccioniana della Città che sale e i segni emotivi e pulsanti di quell’attuale realtà in “espansione”. Concetti che l’artista esprimerà per mezzo di fitte scansioni monocromatiche simulanti una grafia, suggerenti in astratto ma con grande efficacia narrativa il ritmo costruttivo di una crescita che avrà il suo caposaldo in un dipinto del ’52, costruito in una concezione prospettico-dinamica dello spazio che non a caso l’artista intitolerà Espansione dell’Astrattismo Classico.
Su tali spunti di ricerca (che dal primario e più asettico concetto astrattivo si evolve quale registrazione emotiva degli accadimenti umani) sorgeranno sulla metà del decennio le Cittadelle ostili, ovvero astrazioni “oppositive” alle varie rimonte di potere nella Firenze “ormai spenta ad ogni istanza di rinnovamento”. Seguiranno Brecce nel tempo, ricerca verso uno spazio nuovo, strutture prevalentemente impostate in verticale che si ergono in un concitato sovrapporsi di segni e di colori. Il disegno a pennello del ’56 qui esposto, corrisponde a una “breccia” isolata, materia ancora allo stadio embrionale e di studio, destinata a una sua configurazione spaziale nella magmatica coralità di un dipinto.
Ogni ciclo dell’astrattismo di Vinicio Berti continua nel suo intento di guardare all’uomo, ai suoi drammi sociali come alle sue conquiste spaziali. Così la tematica dell’Avventuroso astrale, che sintomaticamente si era aperta nel ’57 con Figurazione astrale, proseguendo fino alla metà degli anni Sessanta con grandi dipinti che di volta in volta registreranno l’avventura umana nello spazio. Da tali risultati si “espande” la riflessione sul concetto “eiensteiniano” dello spazio-tempo, a cui riporta anche il disegno del ’64 della Divisione quantistica dello spazio. Spazio e tempo riproposti in una artistica, umana utopia, per la cui narrazione fantastica l’artista si era aggiudicato nel ’63 il premio del Fiorino.
Di diversa natura sarà il ciclo, nella seconda metà degli anni Sessanta, delle Cittadelle della resistenza, costruzioni sorte quali conchiusi baluardi entro cui rifugiarsi con le proprie utopie. Con tali costruzioni in verticale Berti torna al sunto grafico del proprio racconto dopo l’orgia materica del colore dei cicli precedenti. Lo Studio per struttura e la Struttura 1947-1966 qui illustrati, mostrano nel nuovo ciclo bertiano l’impiego della tempera gialla abbinata al segno strutturale in nero, che da quel periodo avrà sempre più importanza nell’opera dell’artista. La necessità costruttiva verso l’alto, sperimentata in tale ciclo, si riaffermerà decisamente nell’ultimo decennio della sua vita.
Di questa vigorosa volontà di costruzione, il disegno Scena progetto 1 del ’73 può sembrare un possibile avvicinamento: come se a guardare Dal basso in alto – che risponde appunto al corrispettivo ciclo degli anni ’75-’82 – d’una progettata struttura, l’artista-architetto osservasse dall’interno di questa il salire degli elementi costruttivi.
Sarà nel 1983 che prenderà corpo la già annunciata volontà di “guardare in alto”, aggettivando negli anni quella che sarà la sua immutabile volontà fino alla morte: Guardare in alto faticosamente, Guardare in alto solitamente, Guardare in alto irreversibilmente, Guardare in alto materialmente. Astrazione ascensionale con la quale l’artista preparerà nel 1989 la litografia a tre colori per l’anniversario della Liberazione commisionatagli dal Comune di Firenze.
Guardare in alto terribilmente del 1988-89, è uno tra i più vigorosi componimenti della serie. Una costruzione che si erge in un concerto strutturale tessuto dai prediletti accostamenti di colore nero-blu-rosso verso uno spazio squarciato dal bianco. Una vertiginosa dinamica ascensionale che pare proiettarsi verso quell’“alto”, in un lucido, laico anelito di liberazione da ogni “antagonismo”.
Dopo la pubblicazione del loro manifesto nella mostra tenuta alla Galleria Vigna Nuova nel giugno del 1950, il gruppo dei cinque astrattisti classici ritenne conclusa l’esperienza collettiva. Dopo una replica della mostra, portata polemicamente a Venezia essendo stata loro negata la presenza alla XXV Biennale, ognuno prenderà la sua strada.
D’altro canto anche per altri gruppi d’avanguardia, come a Roma Forma 1, si stavano configurando analoghe crisi, originate da più ragioni interne ed esterne, ma la cui fondamentale si identificava con il ritorno all’ordine delle sfere culturali del PCI. Il che voleva significare l’adesione togliattiana alla linea del realismo zdanoviano, la cui conseguenza era la messa al bando d’ogni espressione artistica ritenuta di marca reazionaria, “imperialista e borghese”, ritenuta fuorviante e incomprensibile dal popolo. Quindi anche l’astrattismo, pur promosso da artisti di provata fede comunista, era stato bandito dal partito dopo la scomunica internazionalista pronunciata nel 1948 al congresso di Wroclaw.
Presi tra due roghi, quello di vecchia data alimentato dalla cultura “borghese” fiorentina e quello recente ma non meno pericoloso divampato in casa propria, il gruppo, che doveva regolare i suoi conti anche con non più trascurabili polemiche interne, dovette prendere atto dell’impossibilità di prosecuzione di un’arte a fine collettivo.
Vinicio Berti proseguì la sua ricerca sulle basi di un astrattismo classico riferito all’evoluzione sociale. Un’evoluzione che inquadrata in congenialità “costruttive”, suggerirà all’artista il concetto di espansione quale dilatazione dell’astrattismo, inteso come metafora del progresso umano.
Il disegno di Costruzione e il dipinto Senza Termine qui esposti, fanno parte dei risultati di questa solitaria ricerca, coniugazione tra la dinamica boccioniana della Città che sale e i segni emotivi e pulsanti di quell’attuale realtà in “espansione”. Concetti che l’artista esprimerà per mezzo di fitte scansioni monocromatiche simulanti una grafia, suggerenti in astratto ma con grande efficacia narrativa il ritmo costruttivo di una crescita che avrà il suo caposaldo in un dipinto del ’52, costruito in una concezione prospettico-dinamica dello spazio che non a caso l’artista intitolerà Espansione dell’Astrattismo Classico.
Su tali spunti di ricerca (che dal primario e più asettico concetto astrattivo si evolve quale registrazione emotiva degli accadimenti umani) sorgeranno sulla metà del decennio le Cittadelle ostili, ovvero astrazioni “oppositive” alle varie rimonte di potere nella Firenze “ormai spenta ad ogni istanza di rinnovamento”. Seguiranno Brecce nel tempo, ricerca verso uno spazio nuovo, strutture prevalentemente impostate in verticale che si ergono in un concitato sovrapporsi di segni e di colori. Il disegno a pennello del ’56 qui esposto, corrisponde a una “breccia” isolata, materia ancora allo stadio embrionale e di studio, destinata a una sua configurazione spaziale nella magmatica coralità di un dipinto.
Ogni ciclo dell’astrattismo di Vinicio Berti continua nel suo intento di guardare all’uomo, ai suoi drammi sociali come alle sue conquiste spaziali. Così la tematica dell’Avventuroso astrale, che sintomaticamente si era aperta nel ’57 con Figurazione astrale, proseguendo fino alla metà degli anni Sessanta con grandi dipinti che di volta in volta registreranno l’avventura umana nello spazio. Da tali risultati si “espande” la riflessione sul concetto “eiensteiniano” dello spazio-tempo, a cui riporta anche il disegno del ’64 della Divisione quantistica dello spazio. Spazio e tempo riproposti in una artistica, umana utopia, per la cui narrazione fantastica l’artista si era aggiudicato nel ’63 il premio del Fiorino.
Di diversa natura sarà il ciclo, nella seconda metà degli anni Sessanta, delle Cittadelle della resistenza, costruzioni sorte quali conchiusi baluardi entro cui rifugiarsi con le proprie utopie. Con tali costruzioni in verticale Berti torna al sunto grafico del proprio racconto dopo l’orgia materica del colore dei cicli precedenti. Lo Studio per struttura e la Struttura 1947-1966 qui illustrati, mostrano nel nuovo ciclo bertiano l’impiego della tempera gialla abbinata al segno strutturale in nero, che da quel periodo avrà sempre più importanza nell’opera dell’artista. La necessità costruttiva verso l’alto, sperimentata in tale ciclo, si riaffermerà decisamente nell’ultimo decennio della sua vita.
Di questa vigorosa volontà di costruzione, il disegno Scena progetto 1 del ’73 può sembrare un possibile avvicinamento: come se a guardare Dal basso in alto – che risponde appunto al corrispettivo ciclo degli anni ’75-’82 – d’una progettata struttura, l’artista-architetto osservasse dall’interno di questa il salire degli elementi costruttivi.
Sarà nel 1983 che prenderà corpo la già annunciata volontà di “guardare in alto”, aggettivando negli anni quella che sarà la sua immutabile volontà fino alla morte: Guardare in alto faticosamente, Guardare in alto solitamente, Guardare in alto irreversibilmente, Guardare in alto materialmente. Astrazione ascensionale con la quale l’artista preparerà nel 1989 la litografia a tre colori per l’anniversario della Liberazione commisionatagli dal Comune di Firenze.
Guardare in alto terribilmente del 1988-89, è uno tra i più vigorosi componimenti della serie. Una costruzione che si erge in un concerto strutturale tessuto dai prediletti accostamenti di colore nero-blu-rosso verso uno spazio squarciato dal bianco. Una vertiginosa dinamica ascensionale che pare proiettarsi verso quell’“alto”, in un lucido, laico anelito di liberazione da ogni “antagonismo”.
Dopo la pubblicazione del loro manifesto nella mostra tenuta alla Galleria Vigna Nuova nel giugno del 1950, il gruppo dei cinque astrattisti classici ritenne conclusa l’esperienza collettiva. Dopo una replica della mostra, portata polemicamente a Venezia essendo stata loro negata la presenza alla XXV Biennale, ognuno prenderà la sua strada.
D’altro canto anche per altri gruppi d’avanguardia, come a Roma Forma 1, si stavano configurando analoghe crisi, originate da più ragioni interne ed esterne, ma la cui fondamentale si identificava con il ritorno all’ordine delle sfere culturali del PCI. Il che voleva significare l’adesione togliattiana alla linea del realismo zdanoviano, la cui conseguenza era la messa al bando d’ogni espressione artistica ritenuta di marca reazionaria, “imperialista e borghese”, ritenuta fuorviante e incomprensibile dal popolo. Quindi anche l’astrattismo, pur promosso da artisti di provata fede comunista, era stato bandito dal partito dopo la scomunica internazionalista pronunciata nel 1948 al congresso di Wroclaw.
Presi tra due roghi, quello di vecchia data alimentato dalla cultura “borghese” fiorentina e quello recente ma non meno pericoloso divampato in casa propria, il gruppo, che doveva regolare i suoi conti anche con non più trascurabili polemiche interne, dovette prendere atto dell’impossibilità di prosecuzione di un’arte a fine collettivo.
Vinicio Berti proseguì la sua ricerca sulle basi di un astrattismo classico riferito all’evoluzione sociale. Un’evoluzione che inquadrata in congenialità “costruttive”, suggerirà all’artista il concetto di espansione quale dilatazione dell’astrattismo, inteso come metafora del progresso umano.
Il disegno di Costruzione e il dipinto Senza Termine qui esposti, fanno parte dei risultati di questa solitaria ricerca, coniugazione tra la dinamica boccioniana della Città che sale e i segni emotivi e pulsanti di quell’attuale realtà in “espansione”. Concetti che l’artista esprimerà per mezzo di fitte scansioni monocromatiche simulanti una grafia, suggerenti in astratto ma con grande efficacia narrativa il ritmo costruttivo di una crescita che avrà il suo caposaldo in un dipinto del ’52, costruito in una concezione prospettico-dinamica dello spazio che non a caso l’artista intitolerà Espansione dell’Astrattismo Classico.
Su tali spunti di ricerca (che dal primario e più asettico concetto astrattivo si evolve quale registrazione emotiva degli accadimenti umani) sorgeranno sulla metà del decennio le Cittadelle ostili, ovvero astrazioni “oppositive” alle varie rimonte di potere nella Firenze “ormai spenta ad ogni istanza di rinnovamento”. Seguiranno Brecce nel tempo, ricerca verso uno spazio nuovo, strutture prevalentemente impostate in verticale che si ergono in un concitato sovrapporsi di segni e di colori. Il disegno a pennello del ’56 qui esposto, corrisponde a una “breccia” isolata, materia ancora allo stadio embrionale e di studio, destinata a una sua configurazione spaziale nella magmatica coralità di un dipinto.
Ogni ciclo dell’astrattismo di Vinicio Berti continua nel suo intento di guardare all’uomo, ai suoi drammi sociali come alle sue conquiste spaziali. Così la tematica dell’Avventuroso astrale, che sintomaticamente si era aperta nel ’57 con Figurazione astrale, proseguendo fino alla metà degli anni Sessanta con grandi dipinti che di volta in volta registreranno l’avventura umana nello spazio. Da tali risultati si “espande” la riflessione sul concetto “eiensteiniano” dello spazio-tempo, a cui riporta anche il disegno del ’64 della Divisione quantistica dello spazio. Spazio e tempo riproposti in una artistica, umana utopia, per la cui narrazione fantastica l’artista si era aggiudicato nel ’63 il premio del Fiorino.
Di diversa natura sarà il ciclo, nella seconda metà degli anni Sessanta, delle Cittadelle della resistenza, costruzioni sorte quali conchiusi baluardi entro cui rifugiarsi con le proprie utopie. Con tali costruzioni in verticale Berti torna al sunto grafico del proprio racconto dopo l’orgia materica del colore dei cicli precedenti. Lo Studio per struttura e la Struttura 1947-1966 qui illustrati, mostrano nel nuovo ciclo bertiano l’impiego della tempera gialla abbinata al segno strutturale in nero, che da quel periodo avrà sempre più importanza nell’opera dell’artista. La necessità costruttiva verso l’alto, sperimentata in tale ciclo, si riaffermerà decisamente nell’ultimo decennio della sua vita.
Di questa vigorosa volontà di costruzione, il disegno Scena progetto 1 del ’73 può sembrare un possibile avvicinamento: come se a guardare Dal basso in alto – che risponde appunto al corrispettivo ciclo degli anni ’75-’82 – d’una progettata struttura, l’artista-architetto osservasse dall’interno di questa il salire degli elementi costruttivi.
Sarà nel 1983 che prenderà corpo la già annunciata volontà di “guardare in alto”, aggettivando negli anni quella che sarà la sua immutabile volontà fino alla morte: Guardare in alto faticosamente, Guardare in alto solitamente, Guardare in alto irreversibilmente, Guardare in alto materialmente. Astrazione ascensionale con la quale l’artista preparerà nel 1989 la litografia a tre colori per l’anniversario della Liberazione commisionatagli dal Comune di Firenze.
Guardare in alto terribilmente del 1988-89, è uno tra i più vigorosi componimenti della serie. Una costruzione che si erge in un concerto strutturale tessuto dai prediletti accostamenti di colore nero-blu-rosso verso uno spazio squarciato dal bianco. Una vertiginosa dinamica ascensionale che pare proiettarsi verso quell’“alto”, in un lucido, laico anelito di liberazione da ogni “antagonismo”.
Dopo la pubblicazione del loro manifesto nella mostra tenuta alla Galleria Vigna Nuova nel giugno del 1950, il gruppo dei cinque astrattisti classici ritenne conclusa l’esperienza collettiva. Dopo una replica della mostra, portata polemicamente a Venezia essendo stata loro negata la presenza alla XXV Biennale, ognuno prenderà la sua strada.
D’altro canto anche per altri gruppi d’avanguardia, come a Roma Forma 1, si stavano configurando analoghe crisi, originate da più ragioni interne ed esterne, ma la cui fondamentale si identificava con il ritorno all’ordine delle sfere culturali del PCI. Il che voleva significare l’adesione togliattiana alla linea del realismo zdanoviano, la cui conseguenza era la messa al bando d’ogni espressione artistica ritenuta di marca reazionaria, “imperialista e borghese”, ritenuta fuorviante e incomprensibile dal popolo. Quindi anche l’astrattismo, pur promosso da artisti di provata fede comunista, era stato bandito dal partito dopo la scomunica internazionalista pronunciata nel 1948 al congresso di Wroclaw.
Presi tra due roghi, quello di vecchia data alimentato dalla cultura “borghese” fiorentina e quello recente ma non meno pericoloso divampato in casa propria, il gruppo, che doveva regolare i suoi conti anche con non più trascurabili polemiche interne, dovette prendere atto dell’impossibilità di prosecuzione di un’arte a fine collettivo.
Vinicio Berti proseguì la sua ricerca sulle basi di un astrattismo classico riferito all’evoluzione sociale. Un’evoluzione che inquadrata in congenialità “costruttive”, suggerirà all’artista il concetto di espansione quale dilatazione dell’astrattismo, inteso come metafora del progresso umano.
Il disegno di Costruzione e il dipinto Senza Termine qui esposti, fanno parte dei risultati di questa solitaria ricerca, coniugazione tra la dinamica boccioniana della Città che sale e i segni emotivi e pulsanti di quell’attuale realtà in “espansione”. Concetti che l’artista esprimerà per mezzo di fitte scansioni monocromatiche simulanti una grafia, suggerenti in astratto ma con grande efficacia narrativa il ritmo costruttivo di una crescita che avrà il suo caposaldo in un dipinto del ’52, costruito in una concezione prospettico-dinamica dello spazio che non a caso l’artista intitolerà Espansione dell’Astrattismo Classico.
Su tali spunti di ricerca (che dal primario e più asettico concetto astrattivo si evolve quale registrazione emotiva degli accadimenti umani) sorgeranno sulla metà del decennio le Cittadelle ostili, ovvero astrazioni “oppositive” alle varie rimonte di potere nella Firenze “ormai spenta ad ogni istanza di rinnovamento”. Seguiranno Brecce nel tempo, ricerca verso uno spazio nuovo, strutture prevalentemente impostate in verticale che si ergono in un concitato sovrapporsi di segni e di colori. Il disegno a pennello del ’56 qui esposto, corrisponde a una “breccia” isolata, materia ancora allo stadio embrionale e di studio, destinata a una sua configurazione spaziale nella magmatica coralità di un dipinto.
Ogni ciclo dell’astrattismo di Vinicio Berti continua nel suo intento di guardare all’uomo, ai suoi drammi sociali come alle sue conquiste spaziali. Così la tematica dell’Avventuroso astrale, che sintomaticamente si era aperta nel ’57 con Figurazione astrale, proseguendo fino alla metà degli anni Sessanta con grandi dipinti che di volta in volta registreranno l’avventura umana nello spazio. Da tali risultati si “espande” la riflessione sul concetto “eiensteiniano” dello spazio-tempo, a cui riporta anche il disegno del ’64 della Divisione quantistica dello spazio. Spazio e tempo riproposti in una artistica, umana utopia, per la cui narrazione fantastica l’artista si era aggiudicato nel ’63 il premio del Fiorino.
Di diversa natura sarà il ciclo, nella seconda metà degli anni Sessanta, delle Cittadelle della resistenza, costruzioni sorte quali conchiusi baluardi entro cui rifugiarsi con le proprie utopie. Con tali costruzioni in verticale Berti torna al sunto grafico del proprio racconto dopo l’orgia materica del colore dei cicli precedenti. Lo Studio per struttura e la Struttura 1947-1966 qui illustrati, mostrano nel nuovo ciclo bertiano l’impiego della tempera gialla abbinata al segno strutturale in nero, che da quel periodo avrà sempre più importanza nell’opera dell’artista. La necessità costruttiva verso l’alto, sperimentata in tale ciclo, si riaffermerà decisamente nell’ultimo decennio della sua vita.
Di questa vigorosa volontà di costruzione, il disegno Scena progetto 1 del ’73 può sembrare un possibile avvicinamento: come se a guardare Dal basso in alto – che risponde appunto al corrispettivo ciclo degli anni ’75-’82 – d’una progettata struttura, l’artista-architetto osservasse dall’interno di questa il salire degli elementi costruttivi.
Sarà nel 1983 che prenderà corpo la già annunciata volontà di “guardare in alto”, aggettivando negli anni quella che sarà la sua immutabile volontà fino alla morte: Guardare in alto faticosamente, Guardare in alto solitamente, Guardare in alto irreversibilmente, Guardare in alto materialmente. Astrazione ascensionale con la quale l’artista preparerà nel 1989 la litografia a tre colori per l’anniversario della Liberazione commisionatagli dal Comune di Firenze.
Guardare in alto terribilmente del 1988-89, è uno tra i più vigorosi componimenti della serie. Una costruzione che si erge in un concerto strutturale tessuto dai prediletti accostamenti di colore nero-blu-rosso verso uno spazio squarciato dal bianco. Una vertiginosa dinamica ascensionale che pare proiettarsi verso quell’“alto”, in un lucido, laico anelito di liberazione da ogni “antagonismo”.
Dopo la pubblicazione del loro manifesto nella mostra tenuta alla Galleria Vigna Nuova nel giugno del 1950, il gruppo dei cinque astrattisti classici ritenne conclusa l’esperienza collettiva. Dopo una replica della mostra, portata polemicamente a Venezia essendo stata loro negata la presenza alla XXV Biennale, ognuno prenderà la sua strada.
D’altro canto anche per altri gruppi d’avanguardia, come a Roma Forma 1, si stavano configurando analoghe crisi, originate da più ragioni interne ed esterne, ma la cui fondamentale si identificava con il ritorno all’ordine delle sfere culturali del PCI. Il che voleva significare l’adesione togliattiana alla linea del realismo zdanoviano, la cui conseguenza era la messa al bando d’ogni espressione artistica ritenuta di marca reazionaria, “imperialista e borghese”, ritenuta fuorviante e incomprensibile dal popolo. Quindi anche l’astrattismo, pur promosso da artisti di provata fede comunista, era stato bandito dal partito dopo la scomunica internazionalista pronunciata nel 1948 al congresso di Wroclaw.
Presi tra due roghi, quello di vecchia data alimentato dalla cultura “borghese” fiorentina e quello recente ma non meno pericoloso divampato in casa propria, il gruppo, che doveva regolare i suoi conti anche con non più trascurabili polemiche interne, dovette prendere atto dell’impossibilità di prosecuzione di un’arte a fine collettivo.
Vinicio Berti proseguì la sua ricerca sulle basi di un astrattismo classico riferito all’evoluzione sociale. Un’evoluzione che inquadrata in congenialità “costruttive”, suggerirà all’artista il concetto di espansione quale dilatazione dell’astrattismo, inteso come metafora del progresso umano.
Il disegno di Costruzione e il dipinto Senza Termine qui esposti, fanno parte dei risultati di questa solitaria ricerca, coniugazione tra la dinamica boccioniana della Città che sale e i segni emotivi e pulsanti di quell’attuale realtà in “espansione”. Concetti che l’artista esprimerà per mezzo di fitte scansioni monocromatiche simulanti una grafia, suggerenti in astratto ma con grande efficacia narrativa il ritmo costruttivo di una crescita che avrà il suo caposaldo in un dipinto del ’52, costruito in una concezione prospettico-dinamica dello spazio che non a caso l’artista intitolerà Espansione dell’Astrattismo Classico.
Su tali spunti di ricerca (che dal primario e più asettico concetto astrattivo si evolve quale registrazione emotiva degli accadimenti umani) sorgeranno sulla metà del decennio le Cittadelle ostili, ovvero astrazioni “oppositive” alle varie rimonte di potere nella Firenze “ormai spenta ad ogni istanza di rinnovamento”. Seguiranno Brecce nel tempo, ricerca verso uno spazio nuovo, strutture prevalentemente impostate in verticale che si ergono in un concitato sovrapporsi di segni e di colori. Il disegno a pennello del ’56 qui esposto, corrisponde a una “breccia” isolata, materia ancora allo stadio embrionale e di studio, destinata a una sua configurazione spaziale nella magmatica coralità di un dipinto.
Ogni ciclo dell’astrattismo di Vinicio Berti continua nel suo intento di guardare all’uomo, ai suoi drammi sociali come alle sue conquiste spaziali. Così la tematica dell’Avventuroso astrale, che sintomaticamente si era aperta nel ’57 con Figurazione astrale, proseguendo fino alla metà degli anni Sessanta con grandi dipinti che di volta in volta registreranno l’avventura umana nello spazio. Da tali risultati si “espande” la riflessione sul concetto “eiensteiniano” dello spazio-tempo, a cui riporta anche il disegno del ’64 della Divisione quantistica dello spazio. Spazio e tempo riproposti in una artistica, umana utopia, per la cui narrazione fantastica l’artista si era aggiudicato nel ’63 il premio del Fiorino.
Di diversa natura sarà il ciclo, nella seconda metà degli anni Sessanta, delle Cittadelle della resistenza, costruzioni sorte quali conchiusi baluardi entro cui rifugiarsi con le proprie utopie. Con tali costruzioni in verticale Berti torna al sunto grafico del proprio racconto dopo l’orgia materica del colore dei cicli precedenti. Lo Studio per struttura e la Struttura 1947-1966 qui illustrati, mostrano nel nuovo ciclo bertiano l’impiego della tempera gialla abbinata al segno strutturale in nero, che da quel periodo avrà sempre più importanza nell’opera dell’artista. La necessità costruttiva verso l’alto, sperimentata in tale ciclo, si riaffermerà decisamente nell’ultimo decennio della sua vita.
Di questa vigorosa volontà di costruzione, il disegno Scena progetto 1 del ’73 può sembrare un possibile avvicinamento: come se a guardare Dal basso in alto – che risponde appunto al corrispettivo ciclo degli anni ’75-’82 – d’una progettata struttura, l’artista-architetto osservasse dall’interno di questa il salire degli elementi costruttivi.
Sarà nel 1983 che prenderà corpo la già annunciata volontà di “guardare in alto”, aggettivando negli anni quella che sarà la sua immutabile volontà fino alla morte: Guardare in alto faticosamente, Guardare in alto solitamente, Guardare in alto irreversibilmente, Guardare in alto materialmente. Astrazione ascensionale con la quale l’artista preparerà nel 1989 la litografia a tre colori per l’anniversario della Liberazione commisionatagli dal Comune di Firenze.
Guardare in alto terribilmente del 1988-89, è uno tra i più vigorosi componimenti della serie. Una costruzione che si erge in un concerto strutturale tessuto dai prediletti accostamenti di colore nero-blu-rosso verso uno spazio squarciato dal bianco. Una vertiginosa dinamica ascensionale che pare proiettarsi verso quell’“alto”, in un lucido, laico anelito di liberazione da ogni “antagonismo”.
Dopo la pubblicazione del loro manifesto nella mostra tenuta alla Galleria Vigna Nuova nel giugno del 1950, il gruppo dei cinque astrattisti classici ritenne conclusa l’esperienza collettiva. Dopo una replica della mostra, portata polemicamente a Venezia essendo stata loro negata la presenza alla XXV Biennale, ognuno prenderà la sua strada.
D’altro canto anche per altri gruppi d’avanguardia, come a Roma Forma 1, si stavano configurando analoghe crisi, originate da più ragioni interne ed esterne, ma la cui fondamentale si identificava con il ritorno all’ordine delle sfere culturali del PCI. Il che voleva significare l’adesione togliattiana alla linea del realismo zdanoviano, la cui conseguenza era la messa al bando d’ogni espressione artistica ritenuta di marca reazionaria, “imperialista e borghese”, ritenuta fuorviante e incomprensibile dal popolo. Quindi anche l’astrattismo, pur promosso da artisti di provata fede comunista, era stato bandito dal partito dopo la scomunica internazionalista pronunciata nel 1948 al congresso di Wroclaw.
Presi tra due roghi, quello di vecchia data alimentato dalla cultura “borghese” fiorentina e quello recente ma non meno pericoloso divampato in casa propria, il gruppo, che doveva regolare i suoi conti anche con non più trascurabili polemiche interne, dovette prendere atto dell’impossibilità di prosecuzione di un’arte a fine collettivo.
Vinicio Berti proseguì la sua ricerca sulle basi di un astrattismo classico riferito all’evoluzione sociale. Un’evoluzione che inquadrata in congenialità “costruttive”, suggerirà all’artista il concetto di espansione quale dilatazione dell’astrattismo, inteso come metafora del progresso umano.
Il disegno di Costruzione e il dipinto Senza Termine qui esposti, fanno parte dei risultati di questa solitaria ricerca, coniugazione tra la dinamica boccioniana della Città che sale e i segni emotivi e pulsanti di quell’attuale realtà in “espansione”. Concetti che l’artista esprimerà per mezzo di fitte scansioni monocromatiche simulanti una grafia, suggerenti in astratto ma con grande efficacia narrativa il ritmo costruttivo di una crescita che avrà il suo caposaldo in un dipinto del ’52, costruito in una concezione prospettico-dinamica dello spazio che non a caso l’artista intitolerà Espansione dell’Astrattismo Classico.
Su tali spunti di ricerca (che dal primario e più asettico concetto astrattivo si evolve quale registrazione emotiva degli accadimenti umani) sorgeranno sulla metà del decennio le Cittadelle ostili, ovvero astrazioni “oppositive” alle varie rimonte di potere nella Firenze “ormai spenta ad ogni istanza di rinnovamento”. Seguiranno Brecce nel tempo, ricerca verso uno spazio nuovo, strutture prevalentemente impostate in verticale che si ergono in un concitato sovrapporsi di segni e di colori. Il disegno a pennello del ’56 qui esposto, corrisponde a una “breccia” isolata, materia ancora allo stadio embrionale e di studio, destinata a una sua configurazione spaziale nella magmatica coralità di un dipinto.
Ogni ciclo dell’astrattismo di Vinicio Berti continua nel suo intento di guardare all’uomo, ai suoi drammi sociali come alle sue conquiste spaziali. Così la tematica dell’Avventuroso astrale, che sintomaticamente si era aperta nel ’57 con Figurazione astrale, proseguendo fino alla metà degli anni Sessanta con grandi dipinti che di volta in volta registreranno l’avventura umana nello spazio. Da tali risultati si “espande” la riflessione sul concetto “eiensteiniano” dello spazio-tempo, a cui riporta anche il disegno del ’64 della Divisione quantistica dello spazio. Spazio e tempo riproposti in una artistica, umana utopia, per la cui narrazione fantastica l’artista si era aggiudicato nel ’63 il premio del Fiorino.
Di diversa natura sarà il ciclo, nella seconda metà degli anni Sessanta, delle Cittadelle della resistenza, costruzioni sorte quali conchiusi baluardi entro cui rifugiarsi con le proprie utopie. Con tali costruzioni in verticale Berti torna al sunto grafico del proprio racconto dopo l’orgia materica del colore dei cicli precedenti. Lo Studio per struttura e la Struttura 1947-1966 qui illustrati, mostrano nel nuovo ciclo bertiano l’impiego della tempera gialla abbinata al segno strutturale in nero, che da quel periodo avrà sempre più importanza nell’opera dell’artista. La necessità costruttiva verso l’alto, sperimentata in tale ciclo, si riaffermerà decisamente nell’ultimo decennio della sua vita.
Di questa vigorosa volontà di costruzione, il disegno Scena progetto 1 del ’73 può sembrare un possibile avvicinamento: come se a guardare Dal basso in alto – che risponde appunto al corrispettivo ciclo degli anni ’75-’82 – d’una progettata struttura, l’artista-architetto osservasse dall’interno di questa il salire degli elementi costruttivi.
Sarà nel 1983 che prenderà corpo la già annunciata volontà di “guardare in alto”, aggettivando negli anni quella che sarà la sua immutabile volontà fino alla morte: Guardare in alto faticosamente, Guardare in alto solitamente, Guardare in alto irreversibilmente, Guardare in alto materialmente. Astrazione ascensionale con la quale l’artista preparerà nel 1989 la litografia a tre colori per l’anniversario della Liberazione commisionatagli dal Comune di Firenze.
Guardare in alto terribilmente del 1988-89, è uno tra i più vigorosi componimenti della serie. Una costruzione che si erge in un concerto strutturale tessuto dai prediletti accostamenti di colore nero-blu-rosso verso uno spazio squarciato dal bianco. Una vertiginosa dinamica ascensionale che pare proiettarsi verso quell’“alto”, in un lucido, laico anelito di liberazione da ogni “antagonismo”.
Dopo la pubblicazione del loro manifesto nella mostra tenuta alla Galleria Vigna Nuova nel giugno del 1950, il gruppo dei cinque astrattisti classici ritenne conclusa l’esperienza collettiva. Dopo una replica della mostra, portata polemicamente a Venezia essendo stata loro negata la presenza alla XXV Biennale, ognuno prenderà la sua strada.
D’altro canto anche per altri gruppi d’avanguardia, come a Roma Forma 1, si stavano configurando analoghe crisi, originate da più ragioni interne ed esterne, ma la cui fondamentale si identificava con il ritorno all’ordine delle sfere culturali del PCI. Il che voleva significare l’adesione togliattiana alla linea del realismo zdanoviano, la cui conseguenza era la messa al bando d’ogni espressione artistica ritenuta di marca reazionaria, “imperialista e borghese”, ritenuta fuorviante e incomprensibile dal popolo. Quindi anche l’astrattismo, pur promosso da artisti di provata fede comunista, era stato bandito dal partito dopo la scomunica internazionalista pronunciata nel 1948 al congresso di Wroclaw.
Presi tra due roghi, quello di vecchia data alimentato dalla cultura “borghese” fiorentina e quello recente ma non meno pericoloso divampato in casa propria, il gruppo, che doveva regolare i suoi conti anche con non più trascurabili polemiche interne, dovette prendere atto dell’impossibilità di prosecuzione di un’arte a fine collettivo.
Vinicio Berti proseguì la sua ricerca sulle basi di un astrattismo classico riferito all’evoluzione sociale. Un’evoluzione che inquadrata in congenialità “costruttive”, suggerirà all’artista il concetto di espansione quale dilatazione dell’astrattismo, inteso come metafora del progresso umano.
Il disegno di Costruzione e il dipinto Senza Termine qui esposti, fanno parte dei risultati di questa solitaria ricerca, coniugazione tra la dinamica boccioniana della Città che sale e i segni emotivi e pulsanti di quell’attuale realtà in “espansione”. Concetti che l’artista esprimerà per mezzo di fitte scansioni monocromatiche simulanti una grafia, suggerenti in astratto ma con grande efficacia narrativa il ritmo costruttivo di una crescita che avrà il suo caposaldo in un dipinto del ’52, costruito in una concezione prospettico-dinamica dello spazio che non a caso l’artista intitolerà Espansione dell’Astrattismo Classico.
Su tali spunti di ricerca (che dal primario e più asettico concetto astrattivo si evolve quale registrazione emotiva degli accadimenti umani) sorgeranno sulla metà del decennio le Cittadelle ostili, ovvero astrazioni “oppositive” alle varie rimonte di potere nella Firenze “ormai spenta ad ogni istanza di rinnovamento”. Seguiranno Brecce nel tempo, ricerca verso uno spazio nuovo, strutture prevalentemente impostate in verticale che si ergono in un concitato sovrapporsi di segni e di colori. Il disegno a pennello del ’56 qui esposto, corrisponde a una “breccia” isolata, materia ancora allo stadio embrionale e di studio, destinata a una sua configurazione spaziale nella magmatica coralità di un dipinto.
Ogni ciclo dell’astrattismo di Vinicio Berti continua nel suo intento di guardare all’uomo, ai suoi drammi sociali come alle sue conquiste spaziali. Così la tematica dell’Avventuroso astrale, che sintomaticamente si era aperta nel ’57 con Figurazione astrale, proseguendo fino alla metà degli anni Sessanta con grandi dipinti che di volta in volta registreranno l’avventura umana nello spazio. Da tali risultati si “espande” la riflessione sul concetto “eiensteiniano” dello spazio-tempo, a cui riporta anche il disegno del ’64 della Divisione quantistica dello spazio. Spazio e tempo riproposti in una artistica, umana utopia, per la cui narrazione fantastica l’artista si era aggiudicato nel ’63 il premio del Fiorino.
Di diversa natura sarà il ciclo, nella seconda metà degli anni Sessanta, delle Cittadelle della resistenza, costruzioni sorte quali conchiusi baluardi entro cui rifugiarsi con le proprie utopie. Con tali costruzioni in verticale Berti torna al sunto grafico del proprio racconto dopo l’orgia materica del colore dei cicli precedenti. Lo Studio per struttura e la Struttura 1947-1966 qui illustrati, mostrano nel nuovo ciclo bertiano l’impiego della tempera gialla abbinata al segno strutturale in nero, che da quel periodo avrà sempre più importanza nell’opera dell’artista. La necessità costruttiva verso l’alto, sperimentata in tale ciclo, si riaffermerà decisamente nell’ultimo decennio della sua vita.
Di questa vigorosa volontà di costruzione, il disegno Scena progetto 1 del ’73 può sembrare un possibile avvicinamento: come se a guardare Dal basso in alto – che risponde appunto al corrispettivo ciclo degli anni ’75-’82 – d’una progettata struttura, l’artista-architetto osservasse dall’interno di questa il salire degli elementi costruttivi.
Sarà nel 1983 che prenderà corpo la già annunciata volontà di “guardare in alto”, aggettivando negli anni quella che sarà la sua immutabile volontà fino alla morte: Guardare in alto faticosamente, Guardare in alto solitamente, Guardare in alto irreversibilmente, Guardare in alto materialmente. Astrazione ascensionale con la quale l’artista preparerà nel 1989 la litografia a tre colori per l’anniversario della Liberazione commisionatagli dal Comune di Firenze.
Guardare in alto terribilmente del 1988-89, è uno tra i più vigorosi componimenti della serie. Una costruzione che si erge in un concerto strutturale tessuto dai prediletti accostamenti di colore nero-blu-rosso verso uno spazio squarciato dal bianco. Una vertiginosa dinamica ascensionale che pare proiettarsi verso quell’“alto”, in un lucido, laico anelito di liberazione da ogni “antagonismo”.
Dopo la pubblicazione del loro manifesto nella mostra tenuta alla Galleria Vigna Nuova nel giugno del 1950, il gruppo dei cinque astrattisti classici ritenne conclusa l’esperienza collettiva. Dopo una replica della mostra, portata polemicamente a Venezia essendo stata loro negata la presenza alla XXV Biennale, ognuno prenderà la sua strada.
D’altro canto anche per altri gruppi d’avanguardia, come a Roma Forma 1, si stavano configurando analoghe crisi, originate da più ragioni interne ed esterne, ma la cui fondamentale si identificava con il ritorno all’ordine delle sfere culturali del PCI. Il che voleva significare l’adesione togliattiana alla linea del realismo zdanoviano, la cui conseguenza era la messa al bando d’ogni espressione artistica ritenuta di marca reazionaria, “imperialista e borghese”, ritenuta fuorviante e incomprensibile dal popolo. Quindi anche l’astrattismo, pur promosso da artisti di provata fede comunista, era stato bandito dal partito dopo la scomunica internazionalista pronunciata nel 1948 al congresso di Wroclaw.
Presi tra due roghi, quello di vecchia data alimentato dalla cultura “borghese” fiorentina e quello recente ma non meno pericoloso divampato in casa propria, il gruppo, che doveva regolare i suoi conti anche con non più trascurabili polemiche interne, dovette prendere atto dell’impossibilità di prosecuzione di un’arte a fine collettivo.
Vinicio Berti proseguì la sua ricerca sulle basi di un astrattismo classico riferito all’evoluzione sociale. Un’evoluzione che inquadrata in congenialità “costruttive”, suggerirà all’artista il concetto di espansione quale dilatazione dell’astrattismo, inteso come metafora del progresso umano.
Il disegno di Costruzione e il dipinto Senza Termine qui esposti, fanno parte dei risultati di questa solitaria ricerca, coniugazione tra la dinamica boccioniana della Città che sale e i segni emotivi e pulsanti di quell’attuale realtà in “espansione”. Concetti che l’artista esprimerà per mezzo di fitte scansioni monocromatiche simulanti una grafia, suggerenti in astratto ma con grande efficacia narrativa il ritmo costruttivo di una crescita che avrà il suo caposaldo in un dipinto del ’52, costruito in una concezione prospettico-dinamica dello spazio che non a caso l’artista intitolerà Espansione dell’Astrattismo Classico.
Su tali spunti di ricerca (che dal primario e più asettico concetto astrattivo si evolve quale registrazione emotiva degli accadimenti umani) sorgeranno sulla metà del decennio le Cittadelle ostili, ovvero astrazioni “oppositive” alle varie rimonte di potere nella Firenze “ormai spenta ad ogni istanza di rinnovamento”. Seguiranno Brecce nel tempo, ricerca verso uno spazio nuovo, strutture prevalentemente impostate in verticale che si ergono in un concitato sovrapporsi di segni e di colori. Il disegno a pennello del ’56 qui esposto, corrisponde a una “breccia” isolata, materia ancora allo stadio embrionale e di studio, destinata a una sua configurazione spaziale nella magmatica coralità di un dipinto.
Ogni ciclo dell’astrattismo di Vinicio Berti continua nel suo intento di guardare all’uomo, ai suoi drammi sociali come alle sue conquiste spaziali. Così la tematica dell’Avventuroso astrale, che sintomaticamente si era aperta nel ’57 con Figurazione astrale, proseguendo fino alla metà degli anni Sessanta con grandi dipinti che di volta in volta registreranno l’avventura umana nello spazio. Da tali risultati si “espande” la riflessione sul concetto “eiensteiniano” dello spazio-tempo, a cui riporta anche il disegno del ’64 della Divisione quantistica dello spazio. Spazio e tempo riproposti in una artistica, umana utopia, per la cui narrazione fantastica l’artista si era aggiudicato nel ’63 il premio del Fiorino.
Di diversa natura sarà il ciclo, nella seconda metà degli anni Sessanta, delle Cittadelle della resistenza, costruzioni sorte quali conchiusi baluardi entro cui rifugiarsi con le proprie utopie. Con tali costruzioni in verticale Berti torna al sunto grafico del proprio racconto dopo l’orgia materica del colore dei cicli precedenti. Lo Studio per struttura e la Struttura 1947-1966 qui illustrati, mostrano nel nuovo ciclo bertiano l’impiego della tempera gialla abbinata al segno strutturale in nero, che da quel periodo avrà sempre più importanza nell’opera dell’artista. La necessità costruttiva verso l’alto, sperimentata in tale ciclo, si riaffermerà decisamente nell’ultimo decennio della sua vita.
Di questa vigorosa volontà di costruzione, il disegno Scena progetto 1 del ’73 può sembrare un possibile avvicinamento: come se a guardare Dal basso in alto – che risponde appunto al corrispettivo ciclo degli anni ’75-’82 – d’una progettata struttura, l’artista-architetto osservasse dall’interno di questa il salire degli elementi costruttivi.
Sarà nel 1983 che prenderà corpo la già annunciata volontà di “guardare in alto”, aggettivando negli anni quella che sarà la sua immutabile volontà fino alla morte: Guardare in alto faticosamente, Guardare in alto solitamente, Guardare in alto irreversibilmente, Guardare in alto materialmente. Astrazione ascensionale con la quale l’artista preparerà nel 1989 la litografia a tre colori per l’anniversario della Liberazione commisionatagli dal Comune di Firenze.
Guardare in alto terribilmente del 1988-89, è uno tra i più vigorosi componimenti della serie. Una costruzione che si erge in un concerto strutturale tessuto dai prediletti accostamenti di colore nero-blu-rosso verso uno spazio squarciato dal bianco. Una vertiginosa dinamica ascensionale che pare proiettarsi verso quell’“alto”, in un lucido, laico anelito di liberazione da ogni “antagonismo”.
Una completa revisione che dalla linea naturalista espressionista, come il disegno in questione e come la Figura del ’46, procederà verso la rottura figurativa tramite moduli cubisti picassiani, ravvisabili nell’Autoritratto del ’47, ora alla Galleria degli Uffizi, nel cui studio rientra il disegno a inchiostro e spolvero qui esposto. Anno nel quale Berti s’indirizzerà verso un’astrazione improntata a criteri costruttivi, come l’appunto grafico di Forma costruzione tracciata sull’altra faccia del foglio utilizzato nel ’46 per la citata Figura, che costituisce appunto l’esempio della stretta temporalità intercorrente tra figurazione e il “salto” verso l’astratto.
Criteri che si focalizzeranno in una astratta costruttività definita “classica” per una concezione derivata da un “sottofondo realistico”, come Berti stesso ebbe a chiarire puntualizzandone la cronologica successione: “prima la ‘realtà’ poi la ‘forma’. Non però una ‘realtà’ derivata da una pittura di genere, suadente, cosiddetta ‘intimista’, ma quella cruda e rovescia di ‘aspro realismo’ scaturita dalla realtà contingente, con la quale appunto tentare ‘di dare forma alle strutture di una realtà in espansione’”.
Ricerca che emerge da forme pure e concrete, fermamente geometriche come il già citato Simbolo del 1947, che denota, come scrisse Masciotta, “l’ossequio deferente ai nuovi principi”. Ma già l’anno seguente le forme si articolano in intersecazioni tondeggianti, triangolari e curvilinee cercando un connubio statico-dinamico, come Trittico del 1948, dipinto probabilmente scaturito dai dialoghi con Arrigo Parnisari, che già nell’anno precedente aveva anticipato in Composizione n. 1 alcuni elementi curvilinei, rotondi e a triangoli allungati che compiaiono nella sezione centrale e di destra del successivo Trittico bertiano.
In tale volgere di tempo risalgono i due appunti grafici schizzati sulle due facce del medesimo foglio, entrambi registrati come Composizione, dove al recto emerge ben contrassegnata una costruzione per elementi triangolari, mentre al verso sono i connubi tra rette e curvilinee di cui riferivamo.
Le Figure del ’46 disegnate ancora a penna, fanno parte di un mutato fronte esistenziale. In un riassunto del proprio cammino, dieci anni dopo Berti scriverà: “Sono di quella generazione di pittori che, cominciata la propria esperienza durante la seconda guerra mondiale, si è maturata rapidamente al contatto della tragedia, della passione umana, della sofferenza diretta, da sortirne per una parte bruciata, ma per il resto, quella che mi interessa, libera, orgogliosa e ostile”.
“Ostilità” principalmente ideologica nei confronti di quella società che aveva portato la nazione alla tragedia. E, per traslato, “ostilità” nei confronti di tutta una cultura che, secondo lui e tutta la linea vetero marxista, si era adagiata nei canoni estetici della dittatura fascista, come “quel nostrale, ordinato, paesano o strapaesano ’900” e alla sua appendice tonalistica mormorata in dialetto romanesco o meneghino da quella “generazione di mezzo” (che è stata e sarà sempre giubilata “generazione di mezzo”) malinconicamente ancorata ai resti di “900” e in cerca, senza mai trovarlo, di quello che a noi la guerra, la vita, la congenita necessità di libertà, hanno dato in sorte di trovare”.
Per la società che ora stava faticosamente rinascendo, Berti rivendicava, assieme a un radicale mutamento politico proveniente dal popolo, la necessità di un’altrettanto radicale revisione dei valori estetici, nella convinzione che, come aveva scritto nel ’44, “Non si può fare arte contemporanea se non si è tolta la propria esperienza dalla vita stessa del popolo”. Premesse dalle quali era appunto partita la battaglia revisionista di Berti e di altri giovani pittori aderenti al PCI, come Farulli, Brunetti e Nativi, conosciuti nel ’45 durante la breve vita della rivista “Torrente”, con i quali sortirà quell’intesa che porterà l’anno seguente, con un allargato gruppo di artisti di varia formazione e provenienza, alla fondazione di “Arte d’oggi”.
Dalla seconda metà degi anni quaranta Berti s’indirizzerà verso un’astrazione improntata a criteri costruttivi, come l’appunto grafico di Forma costruzione tracciata sull’altra faccia del foglio utilizzato nel ’46 per la citata Figura, che costituisce appunto l’esempio della stretta temporalità intercorrente tra figurazione e il “salto” verso l’astratto. Criteri che si focalizzeranno in una astratta costruttività definita “classica” per una concezione derivata da un “sottofondo realistico”, come Berti stesso ebbe a chiarire puntualizzandone la cronologica successione: “prima la ‘realtà’ poi la ‘forma’. Non però una ‘realtà’ derivata da una pittura di genere, suadente, cosiddetta ‘intimista’, ma quella cruda e rovescia di ‘aspro realismo’ scaturita dalla realtà contingente, con la quale appunto tentare ‘di dare forma alle strutture di una realtà in espansione’. Ricerca che emerge da forme pure e concrete, fermamente geometriche come il già citato Simbolo del 1947, che denota, come scrisse Masciotta, “l’ossequio deferente ai nuovi principi”.
Una completa revisione che dalla linea naturalista espressionista, come il disegno in questione e come la Figura del ’46, procederà verso la rottura figurativa tramite moduli cubisti picassiani, ravvisabili nell’Autoritratto del ’47, ora alla Galleria degli Uffizi, nel cui studio rientra il disegno a inchiostro e spolvero qui esposto. Anno nel quale Berti s’indirizzerà verso un’astrazione improntata a criteri costruttivi, come l’appunto grafico di Forma costruzione tracciata sull’altra faccia del foglio utilizzato nel ’46 per la citata Figura, che costituisce appunto l’esempio della stretta temporalità intercorrente tra figurazione e il “salto” verso l’astratto.
Criteri che si focalizzeranno in una astratta costruttività definita “classica” per una concezione derivata da un “sottofondo realistico”, come Berti stesso ebbe a chiarire puntualizzandone la cronologica successione: “prima la ‘realtà’ poi la ‘forma’. Non però una ‘realtà’ derivata da una pittura di genere, suadente, cosiddetta ‘intimista’, ma quella cruda e rovescia di ‘aspro realismo’ scaturita dalla realtà contingente, con la quale appunto tentare ‘di dare forma alle strutture di una realtà in espansione’”.
Ricerca che emerge da forme pure e concrete, fermamente geometriche come il già citato Simbolo del 1947, che denota, come scrisse Masciotta, “l’ossequio deferente ai nuovi principi”. Ma già l’anno seguente le forme si articolano in intersecazioni tondeggianti, triangolari e curvilinee cercando un connubio statico-dinamico, come Trittico del 1948, dipinto probabilmente scaturito dai dialoghi con Arrigo Parnisari, che già nell’anno precedente aveva anticipato in Composizione n. 1 alcuni elementi curvilinei, rotondi e a triangoli allungati che compiaiono nella sezione centrale e di destra del successivo Trittico bertiano.
In tale volgere di tempo risalgono i due appunti grafici schizzati sulle due facce del medesimo foglio, entrambi registrati come Composizione, dove al recto emerge ben contrassegnata una costruzione per elementi triangolari, mentre al verso sono i connubi tra rette e curvilinee di cui riferivamo.
Una completa revisione che dalla linea naturalista espressionista, come il disegno in questione e come la Figura del ’46, procederà verso la rottura figurativa tramite moduli cubisti picassiani, ravvisabili nell’Autoritratto del ’47, ora alla Galleria degli Uffizi, nel cui studio rientra il disegno a inchiostro e spolvero qui esposto. Anno nel quale Berti s’indirizzerà verso un’astrazione improntata a criteri costruttivi, come l’appunto grafico di Forma costruzione tracciata sull’altra faccia del foglio utilizzato nel ’46 per la citata Figura, che costituisce appunto l’esempio della stretta temporalità intercorrente tra figurazione e il “salto” verso l’astratto.
Criteri che si focalizzeranno in una astratta costruttività definita “classica” per una concezione derivata da un “sottofondo realistico”, come Berti stesso ebbe a chiarire puntualizzandone la cronologica successione: “prima la ‘realtà’ poi la ‘forma’. Non però una ‘realtà’ derivata da una pittura di genere, suadente, cosiddetta ‘intimista’, ma quella cruda e rovescia di ‘aspro realismo’ scaturita dalla realtà contingente, con la quale appunto tentare ‘di dare forma alle strutture di una realtà in espansione’”.
Ricerca che emerge da forme pure e concrete, fermamente geometriche come il già citato Simbolo del 1947, che denota, come scrisse Masciotta, “l’ossequio deferente ai nuovi principi”. Ma già l’anno seguente le forme si articolano in intersecazioni tondeggianti, triangolari e curvilinee cercando un connubio statico-dinamico, come Trittico del 1948, dipinto probabilmente scaturito dai dialoghi con Arrigo Parnisari, che già nell’anno precedente aveva anticipato in Composizione n. 1 alcuni elementi curvilinei, rotondi e a triangoli allungati che compiaiono nella sezione centrale e di destra del successivo Trittico bertiano.
In tale volgere di tempo risalgono i due appunti grafici schizzati sulle due facce del medesimo foglio, entrambi registrati come Composizione, dove al recto emerge ben contrassegnata una costruzione per elementi triangolari, mentre al verso sono i connubi tra rette e curvilinee di cui riferivamo.