La sua formazione avviene all’Accademia milanese di Brera, dove arriva dopo aver viaggiato in alcuni paesi europei, e poi dopo il 1935 a quella di Firenze, dov’è allievo Felice Carena, e dove grazie a una borsa di studio può dedicarsi totalmente alla pittura.
Dopo gli anni di guerra, trascorsi in Albania e in Montenegro, ha preso attivamente parte ai fermenti artistici fiorentini ed è stato uno dei fondatori del movimento Arte d’Oggi, partecipando, tra il 1947 e il 1949, a tutte e tre le esposizioni del gruppo.
Dal 1947 intanto si è trasferito a Parigi, pur conservando stabili rapporti sia con l’ambiente toscano, dove trascorre, tra Poggibonsi e l’Isola d’Elba i periodi estivi, sia con quelli milanese e romano.
A Parigi, grazie all’amicizia con Emile Gilioli entra in contatto con Alberto Magnelli e poi, instaurato un rapporto di lavoro con la Galleria Denise Renée, sostenitrice delle correnti non figurative, con le figure emergenti dell’astrattismo parigino, Polyakoff e Vasarely soprattutto. Contemporaneamente consolida i suoi rapporti milanesi, con il MAC in particolare, che gli organizza la sua prima mostra personale alla Galleria Salto.
Nella capitale francese ha esposto varie volte, oltre che da Denise Renée, alla Galleria La Hume. Ha inoltre partecipato, quale membro fondatore e componente, con André Bloc, Fernand Leger e Sonia Delaunay, del comitato direttivo, alle esposizioni En plein air del Groupe Espace: a Biot nel 1954 e al Parco di Saint Cloud nel 1955.
Dal 1950 in poi è stato regolarmente invitato al Salon de Mai e dal 1956 al Salon des Réalites Nouvelles.
Nel 1971 ha esposto al Museo d’Arte Moderna della Ville de Paris e nel 1973 la Biblioteca Nazionale di Francia ha accolto una retrospettiva del suo lavoro di incisore.
Nel corso della sua lunga carriera ha esposto, con proprie mostre personali o all’interno di rassegne collettive, nelle principali città europee e americane. Ha inoltre collaborato alla decorazione di importanti architetture, soprattutto a Parigi, ma anche in Italia, nella nuova chiesa di Orbetello, progettata da Giovanni Michelucci.
Sue opere sono conservate in alcuni dei principali musei del mondo, dal MOMA di New York alle Gallerie d’Arte Moderna di San Paolo, Firenze, Madrid e Parigi.
Nell’opera di Bozzolini, l’articolazione del colore serve a costruire l’impianto del dipinto, a strutturare l’immagine, e non si limita mai così ad una ricerca di concentrazione, a quel processo estremo di sintesi, che serve ad alimentare la carica spirituale suggerita dal rigoroso assunto geometrico delle forme. Pur prendendo le mosse dall’astrattismo milanese degli anni Trenta, di Radice, Rho e Veronesi, infatti la pittura del toscano si indirizza da subito verso nuove soluzioni figurative, sostenute da una notevole sensibilità per l’impostazione dinamica del dipinto. Da qui la struttura essenziale delle linee, il lucido equilibrio nell’articolazione del colore, in cui si condensa un senso intellettuale dell’esistenza, che per un uomo come Bozzolini vuol dire razionale ed insieme partecipato e passionale.
Pur guardando ai grandi dell’astrattismo ha sviluppato infatti ben presto una tematica personale, vasta ed articolata, sostenuta da una profonda ricerca spaziale ma soprattutto linguistica.
Già all’atto del suo trasferimento a Parigi, c’è chi come Leon Dégand, non tarda a riconoscere la speciale intonazione della “voce toscana” di Bozzolini nel coro dell’astrattismo. “Non una riduzione vernacola – scrive ancora in quegli anni Franco Russoli –, un riflesso provinciale e appannato, ma proprio un nuovo valore individuale in seno alla tendenza, perché la convenzione linguistica programmatica trova nelle sue opere la linfa di una continuità storica e di un nucleo primordiale di esperienza vissuta. Non era, quella di Bozzolini, l’accettazione di una teoria, ma l’espressione coerente di un modo naturale di essere e di agire, in concordia con il suo temperamento e con la sua formazione visiva e concettuale”.
Una notevole sensibilità riguardo all’impostazione architettonica del dipinto, consente alla sua ricerca di indirizzarsi, dopo un primo momento di attenzione ai valori cromatici e alla simbologia dei colori, alla creazione di composizioni sostenute da precisi valori spaziali, dove la stabilità geometrica del colore lascia il campo al movimento delle strutture, alla dinamica del loro divenire.
In questo spirito va letta la sua ansia sperimentatrice, a cercare ad esempio nella xilografia un impianto costruttivo dell’opera, che pur conservando la compattezza ed il rigore della materia pittorica, consentisse di dilatare le campiture fino ad indebolirne i contorni, racchiusi dal vibrare incerto delle linee.
Da qui a ben vedere anche il suo interesse per gli spazi esterni, a cui rivolge ad un certo momento la sua ricerca di una diversa evoluzione delle forme, con la sintesi di pittura e scultura delle esperienze en plein air, oppure con il ricorso alla pittura con smalti a fuoco su materiali resistenti alla corrosione degli agenti atmosferici, ma soprattutto in grado di reggere il confronto con le dilatazioni in campo aperto.
Il credo profondo di Silvano Bozzolini rimane ancorato dunque all’arte che viene definita, secondo lui impropriamente, astratta, recepita nella sua visione costruttiva e rigorosa, che per lui rimane l’espressione realistica più autenticamente coerente al proprio tempo, oltre che alle proprie visioni poetiche, che si condensano nella suggestione del movimento, articolato dai contrasti netti e dinamici delle forme.
M.B.