Enrico Cattaneo nasce a Milano nel 1933, dopo gli studi scientifici, grazie alla madre che gli regala la prima fotocamera, si avvicina alla fotografia nel 1955. Frequenta il Circolo Fotografico Milanese, ottiene riconoscimenti che lo inducono ad approfondire il suo impegno nel campo della fotografia sociale e partecipa alla fondazione del Gruppo 66. Le fotografie di quegli anni risentono del clima di reazione alle immagini rassicuranti dell’estetismo di stampo pittorialista cui rabbiosamente contrappone provocatori paesaggi di discariche. Passato al professionismo nel 1963, sposta rapidamente i suoi interessi verso il mondo dell’arte: per un verso fotografa gli studi e le opere dei pittori del Realismo Esistenziale come Tino Vaglieri, Gianfranco Ferroni, Sandro Leporini, e dall’altro si riconosce egli stesso negli assunti del movimento realizzando intense immagini in bianco e nero della periferia milanese intrise di una poetica pessimistica, mai di maniera. Anche la scultura lo attrae e diventa amico di artisti quali Alik Cavaliere, Mauro Stacciali, Franco Somaini che ne stimano il lavoro e si affidano a lui per la documentazione delle loro opere. L’interesse del fotografo va però oltre la pura e semplice documentazione: ben presto infatti Enrico Cattaneo si trasforma in un vero e proprio interprete di quanto succede nel mondo artistico con un’originale e sempre più completa panoramica di inaugurazioni, incontri, manifestazioni. L’esplosione giocosa delle avanguardie dei gruppi di Fluxus e del Nouveau Réalisme lo vede come protagonista capace di trasformare il momento della documentazione in una reale testimonianza militante della performance e dell’happening, ma anche in una rilettura dell’accaduto che diviene essa stessa una variante performativa. Le fotografie assumo quindi una doppia vertenza: per un verso sono preziosa e spesso unica testimonianza dell’avvenimento e per l’altra, vivendo di una loro vita autonoma, a partire dai primi anni Settanta vengono esposte in gallerie e pubblicate in volumi.
Pur continuando a documentare gli aspetti diversi di un mondo dell’arte di cui è parte a pieno titolo – dagli studi di pittori e scultori alle loro opere, dai vernissage alle istallazioni- Cattaneo da spazio alle sue ricerche personali che risentono di coltissimi echi lontani. Le fabbriche abbandonate ricordano le sue ricerche sui paesaggi delle periferie, mentre l’attenzione per il mondo solo apparentemente inanimato sfocia in elaborazioni dove oggetti d’uso comune sono trasfigurati dall’accuratissima composizione degli still life oppure inaspettati objet trouvé compaiono in tutta la loro intensa presenza. Nel primo caso pinze, temperini, apribottiglie, sono i protagonisti di “La rivolta degli oggetti” e di “Guerrieri”, nel secondo latte schiacciate e arrugginite mostrano le espressioni antropomorfe di “Maschere”. A questi lavori degli anni Ottanta e Novanta va accostata “Pagine”: si tratta di “sculture fotografiche” ottenuti dagli scarti di carte sensibilizzate gettate in un cestino dove si sono incollate fra di loro così da creare forme che sembrano libri scompaginati. Chiamata anche “Racconto”, la ricerca sembra un omaggio a Man Ray, soprattutto per la casualità delle sue origine e per il suo successivo recupero. Fra le opere più recenti di Enrico Cattaneo vanno ricordati gli accurati still life dove i soggetti sono vecchi stivali e scatole di cartone, la rilettura in chiave fotografica dell’estetica di Giorgio Morandi, il recupero di vecchie immagini corrose dal tempo di “In regress” e “Paesaggio”, immagini di delicata bellezza realizzate con il solo ausilio di elementi chimici fatti colare sulla carta fotografica. Cattaneo muore nella sua casa/ studio milanese il 5 luglio 2019.
Ho conosciuto l’opera di Enrico Cattaneo negli anni ottanta e sono rimasta particolarmente coinvolta dalle sue fotografie con i soggetti: gli Scioperi o i Paesaggi della periferia urbana. I suoi scatti mi trasmettevano tensione quando si soffermavano a documentare momenti di denuncia sociale, curiosità quando riportava angoli peculiari degli studi dei suoi amici artisti, coi quali condivideva oltre alle ore di goliardia pensieri esistenziali, filosofici e politici, entusiasmo quando, in maniera originale e soggettiva, proponeva oggetti d’uso quotidiano trasformandoli in aggressivi guerrieri pronti al combattimento. Scrive Michele Tavola nel catalogo della mostra svoltasi a Villa Renatico Martini (p.15) “Enrico Cattaneo, prima di scattare la fotografia, affronta un lento e meticoloso lavoro di scenografia e regista […]
Gli oggetti vengono reinventati dalla sua fantasia, decostruiti e rielaborati dalla sua fervida creatività. Rasoi, apriscatole, trinciapolli e tenaglie diventano antichi guerrieri […]
Gli attrezzi perdono completamente la loro logica funzionale ed entrano in un’altra dimensione, fuori dallo spazio e tempo”.
Il lavoro è sempre stato alla base della produzione artistica di Cattaneo, ma ha assunto tutte le connotazioni possibili attraverso un’ analitica indagine minuziosamente affrontata nella sua integrità. Le fotografie del maestro milanese hanno esaminato infatti le case e le fabbriche, i mezzi di trasporto, l’entrata e l’uscita, l’accettazione e la rivolta, i momenti di solitudine e quelli di aggregazione dei lavorati, con la naturalezza e l’onestà professionale che lo contraddistingue.
Il realismo degli eventi e degli elementi lascia il posto, quando si avvicina agli attrezzi o agli strumenti quotidiani da lavoro - pinze, cavatappi, apribottiglie, chiavi inglesi – a un simbolismo fantastico che crea un mondo da favola per l’osservatore. Macchine da guerra e mostri preistorici vengono archiviati in uno spazio e in un tempo immaginario e indefinito, ordinatamente costruito e trascritto dalle immagini che Enrico Cattaneo ha deciso di lasciare a documentazione del suo inarrestabile desiderio estetico di perdersi negli oggetti.