La sua prima formazione avviene nell’ambiente artistico livornese infatti, dopo aver frequentato la Libera Accademia di Disegno, si avvicina a Mario Nigro, anch’egli livornese e, al pisano Gianni Bertini, i quali stimoleranno l’artista verso ricerche non figurative. Da questo incontro nasce una tendenza coeva a quella della corrente astratta fiorentina, che verrà definita come Scuola del Tirreno che, svolge una propria ricerca parallela ma, per certi aspetti, anche contrapposta a quella dei compagni fiorentini. Infatti se l’esperienza di Arte d’Oggi, già nel 1950, può definirsi conclusa (con il famoso Manifesto della Fine dell’Astrattismo Classico), quella dei Pittori del Tirreno, si apre invece, a nuovi contatti con città particolarmente attive, quali fra tutte, Milano, dove è attivo il gruppo del MAC (Movimento Arte Concreta). Il lavoro di Chevrier si orienta, in questo periodo, verso una ricerca di tipo concreto, sviluppando uno spiccato interesse per il contrasto tra staticità e dinamismo, presenza simultanea di forme chiuse ed aperte geometricamente regolari ed irregolari. Nella prima metà degli anni Cinquanta partecipa a molte esposizioni tra Milano e Roma, citiamo: la Rassegna della pittura Astratta Italiana, alla Galleria Bompiani di Milano; Arte Astratta e Concreta in Italia alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, Mostra in collettiva e poi personale alla Libreria Salto, sede del MAC, a Milano; IV Quadriennale Nazionale d’Arte a Roma. Continua inoltre, ad esporre in Toscana, partecipando alla mostra Mezzo Secolo d’Arte Toscana, a Palazzo Strozzi, Firenze; e alla Galleria Numero, dove realizza una personale.
Con gli anni Sessanta, si allontana dalla convenzione “concreta” perché si intensificano le ricerche sulle “antitesi”: in questo procedimento, l’artista scopre ogni volta nuove relazioni fra un ordine di composizione logico- mentale e la variabilità delle parti essenziali dell’immagine che, innesca un processo attivo e dinamico di mutamento della forma. Questa fase è il risultato di un periodo di evoluzione verso l’Informale, iniziato già dal 1955 nel quale, l’artista adotta sia il registro iconografico geometrico che quello materico. Nel 1960 partecipa a molti eventi promossi dalla Galleria Numero, ricordiamo, Art Actual Gruppo Numero, Malaga (Spagna); Galleria Numero 2, Firenze; Opere della Collezione Numero, Firenze.
Negli anni Settanta, le opere di Chevrier vengono definitivamente investite da una dinamica trasformazione interna: la figura si trova in una situazione di precario equilibrio che incentiva il movimento, generando una forma perennemente mutabile. Dagli anni Ottanta fino ad oggi, l’artista prosegue la sperimentazione sulla dinamicità attraverso la gestualità espressiva del segno. Partecipa a numerose esposizioni in Italia e all’estero, citiamo: Galerie d’Art Municipale Ville d’Esch, Lussemburgo e la Mostra di pittori toscani del ’900 al Museo Municipale di Bat-Yam, Israele. Nel 2007 una sua opera viene selezionata ed esposta alla mostra di Palazzo Reale a Milano “Kandisnsky e l’astrattismo in Italia 1930-1950, e nel 2012 è presente al Museo Civico di Chiusa nella mostra “Il superamento del vero. L’Astrattismo”.
Il lavoro di Ferdinando Chevrier progredisce nel contesto della cultura figurativa italiana d’avanguardia che dal post-cubismo dell’immediato dopoguerra, passa per il costruttivismo del MAC e arriva fino all’Informale. L’artista riesce ad assimilare e nel contempo a superare in maniera del tutto autonoma ognuna di queste esperienze avvertendo, come afferma Luciano Caramel: “[…] il degenerare del geometrismo picassiano in manierismo ripetitivo […] si accosta, sin dal 1950, alla più stretta organizzazione della superficie propugnata dal Movimento Arte Concreta, con una scelta di campo che gli offrì la possibilità di dar finalmente corpo alla tesa interrelazione tra essenza e fenomeno […]. Ed è appunto l’urgenza di questa istanza dialettica che trattiene Chevrier dalla chiusura di esercitazioni formalistiche, gradualmente insinuatesi tra i suoi compagni di strada […]. Tanto che il passaggio, intorno al 1955, ad una sempre meno reticente espressività e ad una esplicita attenzione al divenire fisico della materia non può affatto sorprendere” (cfr. L. Caramel, Ferdinando Chevrier: mostra antologica, 1949-1977, Livorno 1977, pp. non numerate).
Negli anni Ottanta, l’attività del pittore livornese sembra proiettata verso una forma che si affida contemporaneamente ad un ritmo programmato e gestuale. In Frammenti, del 1982, domina una ricerca compositiva incentrata sul contrasto e sull’opposizione degli elementi formali che, si traduce in un dualismo tra staticità e movimento, tra forma chiusa e forma aperta. Dimostrando di aver oltrepassato il controllo e la rigidità tipici del concretismo del MAC, Chevrier organizza il dipinto su un’impostazione antistatica nella quale predomina un continuo confronto tra il dinamismo della figura e la fissità del fondo monocromo giallo.
Come afferma Alberto Veca: “[…] i termini in questione sono allora quelli di una figura complessiva che tende a esorbitare dalla specifica superficie individuata, alludendo a soluzioni d’incontro all’infinito […]” (cfr. A. Veca, in Premio Biennale d’Arte Contemporanea città di S. Agata a Militello, S. Agata a Militello 1987, pp. non numerate), l’opera è, dunque, concepita in funzione di una forza propulsiva della figura, spinta ad oltrepassare il limite stesso imposto dalla tela.