Fabio Cresci nasce a Marcignana, in provincia di Firenze nel 1954, dove vive e lavora.
Nel 1982 si diploma all’Accademia delle Belle Arti di Firenze e dal 1984 al 1987 ha tenuto le principali mostre personali presso la Galleria Salvatore Ala di New York e di Milano. Nel 1986 partecipa alla XLII Biennale di Venezia nella sezione Arte e Alchimia, curata da Arturo Schwarz; la produzione di questi anni vede la lavorazione di tele di stampo figurativo utilizzando soprattutto colori vegetali e acquerello, che creano immagini quasi evanescenti di limpide trasparenze tonali. Il lavoro esposto alla sua prima personale alla Galleria Ala era un acquerello su tela, una foglia di colore puro, pigmento diluito in acqua. Da qui il ciclo Colorazioni, quadri dove il pigmento puro sembra muoversi leggero sul supporto.
Della fine degli anni ’80 è il ciclo di opere Fisico, lavori su cellulosa, a sottolineare una fisicità originata dalla etereità dei lavori precedenti, profili lineari di piccole pietre diventano linee ingigantite, traiettorie, fino a coprire la zona inferiore dei muri dello studio dell’artista.
Nel 1992 è presente a Milano presso la galleria Giò Marconi con Scala 1/Infinito, del 1994 è la mostra Orizzonti alla Galleria Schema di Firenze; Aperto Italia si inaugura nel 1995 presso il Flash Art Museum di Trevi, Abbozzo per un lamento di foglie è presente al Museo Pecci nel 1996, la mostra Il formaggio e i vermi apre a Palazzo Casali a Cortona nel 1996. L’opera presentata per quest’ultima mostra sembra essere un lungo e tortuoso cammino alla conquista della luce, intesa come illuminazione, dall’impatto estremamente suggestivo.
Del 1997 e poi 2000 la mostra Dopo paesaggio figure e misure del giardino, dove l’artista fotografa fiori e li traspone sulla cellulosa, il pigmento si fissa sul supporto ruvido, e successivamente dispone le corolle sulle pareti del Castello di Santa Maria Novella a Certaldo.
Nel 1998 partecipa alla collettiva Au rendez-vous des amis: Identità e opera, presso il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato; è dello stesso anno anche la mostra Bù! al Palazzo delle Papesse, Centro d’ Arte Contemporanea di Siena. L’artista per questa mostra ha creato una nicchia, facendo abbattere il muro di un ripostiglio e vi ha collocato all’interno dei troni, con accanto una corona e uno scettro, rivolti verso una lampada posta nella cavità. Le ombre si proiettano quindi su tutto lo spazio e disegnano un’atmosfera evocativa riproponendo l’idea della luce intesa come fonte della scoperta, che, con la sua sacralità, investe l’arte.
Nel 2000 Fabio Cresci propone, alla successiva edizione di Dopopaesaggio, un lavoro dalla delicatezza preziosissima del gesto, egli sotterra un seme di zucca fuso in oro nei pressi della porta del castello, dal titolo Né colui che pianta né colui che innaffia è qualche cosa, ma chi fa crescere, a conferma di una forte connotazione intima, propria dei suoi lavori, una dimensione del sacro che avvalora il gesto, la visione, la consuetudine quotidiana, e che vede nell’arte la sua estrinsecazione estetica.
Del 2002 è la sua personale alla Galleria Biagiotti di Firenze, ritorna il cammino sensibile verso l’idea di luce, processo iniziatico verso i luoghi del principio, inteso come forma essenziale, affermazione di vita e consapevolezza estetica di arte. Da qui un percorso attraverso più stanze, luoghi di ricerca, dove incontriamo armi in cellulosa, fisicizzazione del concetto di lotta, per arrivare, infine, al seme d’oro.
Nel 2006 Cresci progetta e realizza con gli allievi della Scuola d’Arte di Pistoia Volume unico, un mobile-scrittoio in cui era custodito un grosso rullo di carta insieme all’occorrente per scrivere. Scopo del mobile: una sorta di arca della memoria lasciata per ricordare tutti coloro firmavano il libro/rotolo, facendo diventare le firme non un gesto inconsapevole, bensì una scelta d’identità e appartenenza sociale ad un gruppo.
Nel 2007 Cresci ripropone un progetto con studenti universitari residenti ad Arezzo e provincia affrontando la difficile domanda: ma la terra di chi è? Il risultato: un paesaggio desolato dove le insegne che segnavano i confini giacevano abbandonate assieme alle bandiere e allo scettro, che propone un nuovo e ribaltato punto di vista. Da questo studio è nato un’opera installata nel 2008 presso la Galleria Il Ponte di Firenze. Nel medesimo anno viene proposto ed allestito presso D’A Spazio d’Arte a Empoli Opera Prima, progetto svolto con gli allievi di un master presso la Libera Accademia di Belle Arti di Firenze
Fabio Cresci spiega nella sua poetica che “L’artista è uno che impara a vedere”ed insegna agli altri a guardare, per cui quando con la sua arte indica un elemento non cerca di trasmettere l’aspetto realistico, convenzionale, iconografico o individuale, ma cerca di mostrare l’oggetto come testimonianza e quindi indica la direzione verso la quale condurre lo sguardo per riordinare, ricreare, ritrovare.
Per realizzare Riedificazione “Fabio ha scelto il tema della roccia, in particolare della marna rossa”, materiale presente già da diverse anni nei suoi lavori, scelto per la sua consistenza, le sue striature rosso-violacee, per la sua posizione elevata e per la provenienza dalle colline che sovrastano la città di Monsummano. Così scrive il Cresci a Giovanna Uzzani per spiegare il significato della sua scelta “La pietra rossa delle marne del sugame di Monsummano è per me una pietra che rimanda al vivente, perciò, nel rifarsi ad essa, sarebbe opportuno non associarla ad una struttura tangibile, ma alla posizione elevata che hanno sempre assunto nella storia i puri atti di servizio nei confronti della vita”, (G. Uzzani, 2006, p.12). Il paesaggio circostante con la sua vivace e vivente materia entra nel museo e lo coinvolge aprendo un dialogo tra interno ed esterno, tramite una ricerca di trame che colloquiano tra loro e invitano a scrutare con lo sguardo, ad ascoltare fermando i suoni, a toccare andando oltre la materia, godendo di tutta quella energia istintiva e impetuosa che trasmette la natura quando decidiamo di sciogliere i nostri sensi.