Connie Jacoba Dekker nasce nel 1960 a Rotterdam, nei Paesi Bassi. Vive e lavora tra l’Olanda e la Toscana. Connie Dekker inizia il suo percorso artistico, verso la fine degli anni ottanta, come scultrice lavorando opere come ‘recipienti’, collocate direttamente sul pavimento o sulla terra. Il riferimento all’acqua è costante nei suoi lavori, come ad esempio nel ciclo di sculture nei laghi. Una di essa descrive una roccia che getta l’acqua come una sorta di fontana galleggiante; il rapporto tra l’acqua e la scultura è fondamentale affinché quest’ultima possa esistere, non solo concettualmente ma anche strutturalmente. La scultura raccoglie l’acqua del lago e gliela restituisce, a sua volta l’acqua fa galleggiare la scultura, una sorta di cortocircuito chiuso nello spazio aperto.
Dopo la stagione della scultura la sua attenzione si sposta verso installazioni con stoffe e ricami. Nei suoi primi lavori l’artista utilizza l’immagine del cigno, intesa come icona del transito. Questa immagine verrà poi sostituita dall’uso di linee che ripercorrono fedelmente i disegni del padre, realizzati durante una fase molto difficile della propria vita, e, ora, tracciati nuovamente dall’artista come a voler seguire la linea dei suoi ricordi. Le linee prendono forma sulle stoffe, poi sugli abiti, le opere ritornano, in questo modo, alla forma ‘scultorea’ a sua volta si svilupperanno in performance (come nella serie Waiting).
L’artista utilizza anche il video, inizialmente per documentare le performance, successivamente comincia ad interessarsi alla qualità poetica e narrativa del mezzo. Ripercorre con le immagini i luoghi del proprio vissuto, traccia un percorso di viaggio attraverso la memoria della propria terra, filma la regione dello Zeeland, l’isola dove l’artista ha passato la sua infanzia, custode della sua storia e del suo passato. La fotografia, come i video, sarà utilizzata da Dekker come esemplificazione visiva del suo sentire, come nel progetto delle ‘cartoline virtuali’, che l’artista periodicamente spediva, in internet, esprimendo i suoi stati d’animo, attraverso immagini suggestive (in particolare raffiguranti lo Zeeland e la Toscana).
Anche la fotografia è molto importante per la Dekker come dimostra la serie fotografica esposta per Uscita Pistoia che ricorda il progetto delle cartoline virtuali e mostra, in forma di trittico, una sequenza scattata durante un viaggio in macchina verso l’isola di Schouwen Duiveland. Il lavoro della Dekker crea una sorta di fusione a livello sensibile tra il suo sentire e lo spettatore, il quale condivide, diviene partecipe dello stato emotivo dell’artista, della nostalgia verso le sue origini testimoniata sia attraverso le immagini, sia attraverso i testi che le accompagnano.
ricamo su tela di cotone, cm. 130x113
I preziosi ricami che Connie Dekker espone al Mac,n rappresentano un importante momento durante il quale l’artista ricorda gli ultimi giorni di vita di suo padre: “…he was suffering from a very malicious cancer”. “Nei suoi ultimi giorni, non poteva lavorare in giardino e si sedeva accanto alla finestra e disegnava qualcosa che vedeva o pensava…[i suoi disegni di grandi animali, vegetali ] era nato una nuova strada di conversazione. Due anni dopo la morte di mio padre, nel 1994, ho iniziato a ricamare questi disegni abbozzati su lenzuoli e cuscini. Il lavoro è ancora in evoluzione”.
Zeeland di Connie Dekker, Van Ast-Gallery Production, 2004, così l’artista descrive il suo video nella mostra la misura del tempo : “Il video racconta dell’isola Schouven Duiveland nella provincia di Zelandia, che si trova nel sud dell’Olanda. La famiglia dell’artista abita in quest’isola da secoli, in pieno clima protestante ortodosso, ed è qui che l’artista ha trascorso gran parte della vita. Nel video domina un paesaggio simile a quello della laguna veneziana, dove il mare incide sul carattere degli abitanti in maniera profonda, talvolta opprimente. La traumatica inondazione del ’53 (quest’anno ricorre il 50esimo anniversario) ha alterato fortemente il paesaggio naturale ed ha lasciato una ferita ancora aperta nella popolazione. L’isola, una volta chiamata “il giardino d’Olanda”, si è trasformata dopo il disastro in una terra arida e desolata. Per bonificare la terra rimasta sommersa dall’acqua del mare per un anno, ci sono voluti ben dieci anni, in cui sono state chiuse le dighe e sono stati piantati alberi che crescono in fretta ma hanno un ciclo vitale di circa 50 anni. Ora questi alberi cominciano a morire, e l’isola è di nuovo la terra desolata. In questo video domina il paesaggio, non figurano gli abitanti che l’artista non ha avuto ancora la forza di intervistare. Le uniche presenze “umane” sono rappresentate dalle tre generazioni femminili della famiglia dell’artista: sua nonna, sua madre e l’artista stessa, riprese nella loro vita quotidiana. Non compare l’elemento religioso opprimente che le circonda: il video racconta semplicemente del ritorno a casa, dove si incrociano e si collegano tutti i sentimenti. L’artista si sente radicata a questa terra in cui allo stesso tempo, le è impossibile inserirsi nonostante compia lo stesso giro abitudinario, riscopra la famiglia, i luoghi del suo passato. Sulle dighe dove l’artista si recava per passeggiare, nuotare, guardare e pensare si incontrano le pecore che brucano l’erba, si vedono le navi passare, si sente il suono delle campane delle chiese, onnipresente, le grida dei gabbiani e degli altri uccelli marini, per non dimenticare. Le immagini dei Caissons di Ouwerkerk (costruzioni utilizzate per chiudere le dighe distrutte dal mare) rappresentano un punto di ritorno importante, il luogo dove l’artista giocava e un memorius morendus per gli isolani che qui vengono a ricordare i morti. Le immagini dei Caissons nelle esteti serene, sono interrotte da quelle del disastro del ’53 nello stesso luogo. Questa è la parte in cui si sente il trauma del passato. Il video è un collage di immagini di luoghi e ricordi dell’artista, accompagnate da frammenti di un suo scritto, di un poeta olandese e di una poetessa italiana”.