Figlio dello scultore Odoardo, si forma nella bottega del padre, in un ambiente favorevole tanto all’apprendimento delle tecniche e dei segreti del mestiere, quanto all’avvio dei rapporti con la committenza e con il mercato.
Già all’inizio degli anni Settanta in ogni modo Cesare rivela una personalità decisamente autonoma rispetto a quella del padre, come ebbe a notare Camillo Boito che, inserendolo con Augusto Rivalta, Salvatore Grita e Adriano Cecioni fra i rappresentanti della nuova scultura a Firenze, sottolinea come “fra il figlio e il padre non c’è nell’arte nessuna somiglianza, fuori del grande amore che l’uno e l’altro vi mette”.
La sua è in questi primi anni una scultura di genere, attenta a cogliere il particolare, nei gesti o negli atteggiamenti, delle figure, che fin dai titoli, Vanesia, la Pecoraia, il Risveglio, dimostrano una smania di verità che sconfina talvolta nell’amore per l’apparenza.
È così la frequentazione dell’ambiente macchiaiolo, degli artisti e letterati del Caffè Michelangelo, e soprattutto di un critico come Diego Martelli, a spingere Cesare Fantacchiotti verso un verismo meno scontato e più attento al carattere piuttosto che alla fisicità delle persone. Da qui la sua vena di ritrattista, attestata da quelli eseguiti per gli amici, Diego Martelli e Silvestro Lega tra gli altri, da quelli commemorativi, di Savonarola, Dante e Leonardo ad esempio, ma anche dalle numerose repliche del busto di Vittorio Emanuele II, commissionate da diversi comuni italiani.
Fra le opere di maggiore impegno, andrà ricordato, oltre al Monumento a Giuseppe Giusti di Monsummano del 1877, almeno quello a Garibaldi per la città di Vada del 1875.
Nominato accademico residente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1887, Cesare Fantacchiotti appare sempre più attratto da una committenza di tipo privato, e ripiega così verso un’attività di bottega, affiancando l’esecuzione di qualche monumento sepolcrale di raffinata eleganza, come quello a Teresina Spense, una fitta esecuzione di repliche e varianti delle sue più fortunate sculture, non meno che di quelle del padre.
Il bozzetto fu eseguito presumibilmente nel 1875, quando Cesare Fantacchiotti riceve l’incarico di eseguire il Monumento a Giuseppe Giusti per la piazza centrale di Monsummano Terme, cittadina natale del poeta, grazie all’interesse di Ferdinando Martini, altro illustre monsummanese, il cui tramite nei confronti dello scultore fu presumibilmente il comune amico Diego Martelli.
Lo scultore era all’epoca poco più che trentenne e da più parti si è creduto, anche in epoche successive, che l’incarico fosse stato affidato al padre Odorardo, all’epoca ancora in vita. Bisognerà tuttavia sottolineare come questo tipo di monumenti, allora molto in voga, veniva generalmente promosso da comitati locali, che si affidavano per le spese a vere e proprie sottoscrizioni fra i cittadini più noti e facoltosi, per cui alla fine la scelta cadeva di preferenza proprio su artisti esordienti, disposti a lavorare a costi decisamente inferiori, rispetto agli scultori più noti e affermati.
Il bozzetto, pur nelle dimensioni ridotte e nell’estrema sintesi del modellato, contiene già per intero l’idea di rappresentare il poeta, in piedi ma appoggiato a una sedia, colto in un atteggiamento pensoso e insieme disinvolto, con una impostazione cioè che lo rendesse riconoscibile, a quanti lo avevano frequentato, anche al di là della somiglianza dei tratti fisionomici.
Realizzato e presentato il modello in terracotta, Fantac-chiotti attende ancora nel giugno del 1876 il benestare all’esecuzione dell’opera, mentre per altro verso alla fine dello stesso anno lo scultore è ancora impegnato alla ricerca del marmo necessario, che sembra non trovare, né a Carrara né a Seravezza, per la particolare qualità del materiale richiesto, ma, sembra di capire, anche e soprattutto per il costo eccessivo a cui gli potrebbe essere fornito.
La ricerca del marmo andò comunque per le lunghe, tra il desiderio dello scultore di acquisirlo a Seravezza, nelle cave del signor Henraux, con ogni probabilità un marmo statuario, e l’indicazione del comitato promotore, di servirsi piuttosto a Carrara, nelle cave del conte Fabbricotti, probabilmente un marmo bianco ordinario, che Fantacchiotti chiede che almeno sia della cava di Ravaccione, e quindi più chiaro possibile.
Fatto sta che solo alla metà del 1878 la statua risulta finalmente abbozzata, e nell’autunno dello stesso anno lo scultore fornisce il disegno del basamento, in modo che se ne possa cominciare a gettare le fondamenta.
I rapporti tra Cesare Fantacchiotti e il comitato promotore, o quanto meno alcuni componenti di esso, si erano andati nel frattempo guastando, probabilmente in relazione ai pagamenti e alle maggiori spese sopraggiunte per il protrarsi del lavoro, o forse anche perché la sopraggiunta morte del padre aveva lasciato Cesare da solo a mandare avanti lo studio fiorentino, caricandolo di nuove responsabilità, ma garantendogli anche incarichi meno gravosi e sicuramente più remunerativi.
Di fronte alla sollecitazione di avere il monumento istallato per il luglio del 1879, lo scultore si dispone a portare a termine la scultura, ma nel contempo progetta un lungo viaggio in Inghilterra, che iniziato nel mese di giugno, gli impedirà di essere presente a Monsummano il 20 luglio, quando il monumento sarà inaugurato, con un discorso commemorativo di Enrico Panzacchi.
La fusione in bronzo, postuma, è stata realizzata nel 1995, e donata al Comune di Monsummano da Leda Gabrielli, figlia di Donatello, l’allievo di Cesare Fantacchiotti, che dopo la morte, avvenuta nel 1922, ne ereditò lo studio, proseguendone l’attività fino alla metà degli anni Cinquanta.
M.B.