Paolo Favi ha compiuto le sue prime esperienze artistiche, all’inizio degli anni Cinquanta, collocandosi dentro un filone figurativo di chiara impronta espressionista.
La sua attività espositiva ha inizio nei primi anni Sessanta e rivela un artista attento alla ricerca di un linguaggio ancorato alla realtà contemporanea, attento alle esperienze espressive che tentano nuove forme di oggettività e di realismo.
Nel suo lavora si manifesta ben presto un’ansia verso una nuova spazialità, come per un manifesto disagio verso gli ambiti di espressione figurativa, che non caso Favi tenderà ad abbandonare verso la fine del decennio, e in maniera più decisa e conseguente all’inizio degli anni Settanta, dopo l’incontro con Vinicio Berti, uno dei fondatori dell’Astrattismo Classico.
Un momento di svolta è in ogni caso rappresentato dalla mostra romana, alla Galleria Numero di Fiamma Vigo, dove l’artista espone le sue prime opere decisamente astratte, che si caratterizzano come una serie di monotipi modulari, che si sommano, si compongono e si articolano in aggregazioni complesse.
L’idea della costruzione per moduli, caratterizza il lavoro degli anni Settanta, allorché aderisce al manifesto “Nascita di una morfologia costruttiva”, partecipando nel 1973 alla mostra del gruppo a Palazzo Strozzi.
La ricerca di Paolo Favi evolve ulteriormente all’inizio degli anni Ottanta, con un’attenzione ad una diversa articolazione dello spazio; nascono così le “pellicole” che sono l’elemento più caratterizzante della suo percorso artistico.
Tra le sue numerose esposizioni vanno ricordate almeno le due allestite, in compagnia di Vinicio Berti e Smyte, all’Auditorium Santa Chiara di Vercelli, nel 1986, e poi nell’anno successivo a Firenze, per l’inaugurazione della Galleria A-Z Incontri.
L’impegno artistico di Paolo Favi non si è comunque limitato alla pittura, avendo svolto contemporaneamente una intensa attività come animatore di gruppi culturali d’avanguardia. Dal 1972 l’artista fa parte infatti di quel collettivo Studio d’Arte Il Moro, che negli ultimi decenni si è impegnato nel tentativo di tenere vivo il dibattito sulla ricerca artistica contemporanea a Firenze, allestendo mostre, organizzando conferenze, promuovendo pubblicazioni.
La ricerca di un linguaggio adatto ad esprimere la contemporaneità, nelle sue connotazioni di velocizzazione dei fenomeni e di dilaniamento dell’immagine, porta Paolo Favi all’esperienza delle “pellicole”, in cui si condensa il racconto di un attimo, si memorizza un episodio in rapido movimento verso altre realtà. La dimensione verticale si rivela indubbiamente quella più idonea a tradurre l’intenzione dell’artista, mentre i segni che emergono da uno spazio nero e che tendono ad allontanarsi dal centro, suggeriscono una proiezione verso l’esterno, come all’inseguimento di altri spazi, e quindi altre immagini, altri messaggi.
Il percorso artistico di Favi è un percorso lineare, dalla figurazione espressionista all’astrattismo, dalle influenze di Farulli a quelle di Vinicio Berti, fino all’approdo ad una fase costruttiva, che piuttosto che un punto di arrivo, di rivela un momento di passaggio, verso altre soluzioni spaziali, altre esigenze espressive.
Favi è indubbiamente l’erede più conseguente dell’esperienza dell’Astrattismo Classico, nel senso che ne accetta la portata fino in fondo, limiti compresi. Che sono di natura artistica, nella rigida ripetitività dei moduli espressivi, ma anche poetici, per l’esigenza di ancorarsi ad una positiva fiducia sulle potenzialità liberatorie del progresso.
La multidimensionalità, individuata e professata dall’Astratti-smo Classico, deve confrontarsi nelle intenzioni di Favi con una realtà sempre più deideologizzata, con un presente senza speranze di progresso, in cui quotidianamente naufragano speranze e certezze, che sembravano incrollabili.
Così fin dalle origini l’astrattismo di Favi cerca uno sviluppo dinamico, che garantisca la possibilità di un confronto con il quotidiano, che è fatto soprattutto di esperienze individuali e sperimentate direttamente, piuttosto che di convinzioni ideologiche e acquisizioni culturali, di disordine e spaesamento, piuttosto che di senso di appartenenza o di convinzioni da condividere.
Per questo proprio quando il suo alfabeto, il modulo, tendeva a diventare riconoscibile, al limite della sterilità stilistica, Favi guarda senza incertezze al superamento dell’oggetto, a favore di una nuova ricerca spaziale, dove gli spazi di movimento si allargano, per nuove sperimentazioni di linguaggio, per potersi liberare completamente dall’impaccio di un passato ingombrante anche perché recente e vissuto.
La grande sensibilità costruttiva non smette di agire, solo si fa meno schematica e ripetitiva, ed esprime la volontà di crescere e di cambiare. Le superfici pittoriche si fanno più articolate e vibranti; l’immagine si scompone, si muove, allude ad altro, con spazi che si accavallano, liberando energie per altre soluzioni, dando origine al percorso di un’opera aperta.
È alla fine di questo percorso che l’artista approda al motivo delle “pellicole”, dove il nucleo ideale del dipinto si frantuma e di spande, dando vita a trame e percorsi alternativi che, nell’improvviso balenare o nella repentina cancellazione delle tracce, mirano a dar luogo sulla tela a una sorta di lirico labirinto, in cui la mente si perde per poter sconfinare in altri e diversi orizzonti del reale.
M.B.