Formatosi all’Istituto d’Arte fiorentino di Porta Romana, nel corso degli anni Trenta risente naturalmente degli indirizzi che condizionano le vicende artistiche cittadine, ma nel dopoguerra è uno di quei giovani pittori, raccolti del cosiddetto cenacolo della Galleria Il Fiore, che si rendono protagonisti di un rinnovamento delle arti visive, che pur rivisitando le principali esperienze moderne cerca di coniugarle con il naturale sviluppo della tradizione Toscana.
In questo senso il contributo di Grazzini appare forse il più conseguente, anche se destinato a rimanere il più isolato. La sua presenza nelle prime esposizioni del dopoguerra non passa comunque inosservata: alla mostra organizzata dall’Unione Goliardica Pisana al Palazzo alla Giornata nel gennaio del 1948 come poco dopo alla Rassegna di pittura e scultura italo-francese, a Palazzo Strozzi; e ancora nel corso dello stesso anno, alla mostra collettiva degli artisti fiorentini alla Bottega d’Arte di Livorno come all’esposizione, in compagnia di Tordi, Bozzolini e De Angelis alla Galleria Ferretti di Montecatini; alla Società di Mutuo Soccorso di Rifredi nel gennaio 1949 come alla Mostra Regionale di pittura e scultura di Marina di Massa o al Salone delle Tamerici di Montecatini, rispettivamente nel luglio e nel settembre dello stesso anno.
Nel corso della sua lunga carriera Renzo Grazzini ha allestito oltre cinquanta mostre personali, nelle principali città italiane ed ha inoltre partecipato alle principali rassegne artistiche nazionali, fra cui la Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma. Ha ottenuto altresì numerosi, premi come Il Fiorino a Firenze e il Modigliani a Livorno, e importanti riconoscimenti, in occasione delle principali rassegne fiorentine, come la Mostra Nazionale del Ritratto e la Mostra Nazionale dello Sport, e alla Biennale dell’Incisione di Venezia. Ha altresì esposto in numerose rassegne di pittura italiana, in Europa come negli Stati Uniti, in Russia come in Australia. Le sue opere sono conservate in molte collezioni pubbliche e private, in Italia e all’estero, come la Galleria d’Arte Moderna di Firenze e il Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo.
Abbiamo di fronte un paesaggio solido nei volumi, aerato negli spazi, misurato nel colore: una prova della sincerità della pittura di Grazzini, che non teme di abbandonarsi a intonazioni liriche, arricchendo l’atmosfera naturale del paesaggio con pochi accenni espressivi del colore, come nel rosso emergente dei tetti.
Renzo Grazzini ha infatti costruito una sua idea della realtà ancorandola a quella cupa poeticità che a buona parte della pittura toscana deriva a un certo punto dall’esempio di Rosai. Il suo realismo infatti affonda nella convinzione che, sul terreno dell’arte, nessun suggerimento può superare quelli che vengono direttamente dall’esistenza.
Come già notava Franco Russoli in occasione di una delle prime esposizioni dell’artista, Grazzini “sa costruire il quadro nella contrapposizione degli elementi del paesaggio colti nella loro sostanza di colore e di luce; l’equilibrio è serrato nella atmosfera opaca che unifica le diverse zone, il tono è coerente alla pennellata secca e grumosa”. Più o meno nello stesso periodo un compagno di strada come Sergio Scatizzi, pur riconoscendo una pittura che parte dal dato naturale, sente di avere di fronte un artista che “trasforma il colore e la linea in un fatto di pensiero”, per cui la ricomposizione dell’oggetto, in termini di geometria solida e rigorosamente controllata, avviene “su un piano più strettamente pittorico”.
Fin dalle origini del suo percorso pittorico Renzo Grazzini si propone così nel giudizio di molti come una delle più promettenti speranze del rinnovamento della pittura toscana, per la sua vena sorgiva di figurante e paesista, da cui sprigiona sensibilità e senso del colore; una intensità di sentimento espressivo quasi senza residui, per cui, anche nelle figure con più forti accenti caricaturali, la pennellata energica confessa una profonda intuizione della vitalità dell’immagine. La sua mira è quella di restituire alla pittura una funzione sociale, cioè una capacità narrativa di ampio respiro e universalmente comprensibile. I temi che preferisce sono le case e le strade di Firenze: cioè l’ambiente o se si vuole la scena in cui intende far vivere i suoi personaggi.
La sua ricerca, isolata e personale, appare in ogni caso, e in ogni stagione, sostenuta da una grande capacità di invenzione e da una naturale disposizione all’introspezione psicologica, e finirà per approdare a una pittura di forte impatto, alimentata dalla capacità di tenere insieme il rigore del disegno e quel dilaniamento dell’immagine che rivela una qualche tangenza con l’espressionismo nordico. A farne le spese è stato talvolta il colore, che ha dovuto ammantarsi di tonalità cinerine, fino a spegnersi nel contrasto dei bianchi e dei neri, che conferiscono ai soggetti una rigidità geometrica, quasi aspirassero a vaghe connotazioni astratte.
La sua adesione all’idea di un’arte avanzata e al passo con i tempi, non lo ha mai allontano da una forte adesione al reale, per cui, come ebbe occasione di scrivere Raffaele De Grada, in ogni momento possiamo ritrovare nelle sue opere “uno dei pittori, ormai rari, che presentano una situazione reale: un paesaggio vero, derivante cioè da una commozione sincera di fronte all’oggettiva presenza di un’architettura di uomini e di cose; un volto umano autentico, non soltanto nel senso di una visione fisionomica, ma della lettura di un carattere e della sua proiezione in ognuno che lo riguardi; una composizione solida e rigorosamente pittorica: in quanto deriva da una sostanziale, e rara, necessità del dipingere”. M.B.