Nasce da una famiglia di umili origini. All’età di otto anni segue i genitori emigranti nel sud della Francia. La prima formazione ha quindi luogo nella cultura laica francese e questo avrà sicuramente un peso nella caratterizzazione della sua personalità.
Al ritorno dalla Francia, nel 1939, rientra a Pistoia, si iscrive al Ginnasio e inizia a prendere lezioni di pittura dall’artista pistoiese Umberto Mariotti. A sedici anni i suoi riferimenti culturali sono Piero della Francesca, Matisse e Monet, per lui, gli iniziatori della pittura moderna.
è solo dopo la guerra che Landini entra in contatto con il vivace mondo artistico pistoiese, in particolare con Alfiero Cappellini che lo affascina e lo spinge a ricerche personali di profondo stimolo culturale. Sono gli anni del realismo e anche Landini presta fede in quegli anni al dato reale, all’immanenza della realtà, con grande entusiasmo ideologico.
Nel 1945 espone per la prima volta, a fianco di Cappellini, alla Galleria La Porta di Firenze.
Nel 1947 dà la sua adesione al Partito Comunista.
In questi anni, attraverso la lezione di Matisse elabora una personale interpretazione del realismo socialista, verso un senso più cromatico della forma intesa come superficie luminosa, gioco di colore e segno.
Nel 1950 si laurea con Roberto Longhi alla Facoltà di Lettere di Firenze con una tesi su Umberto Boccioni. Subito dopo si trasferisce a Parigi, dove collabora come corrispondente alla rivista “Paragone”. è un periodo di grande interesse per la pittura francese e di prolifica attività come critico d’arte. A quest’epoca risalgono gli articoli su Picasso, Villon, i Cubisti, Dufy.
Sempre grazie al rapporto con Longhi, inizia a frequentare l’ambiente romano entrando in contatto con Renato Guttuso e Antonello Trombadori.
Ma la sua opera suscita divergenze sul fronte del realismo socialista, in quanto il realismo di Landini è troppo distaccato dalle direttive, dai presupposti programmatici, troppo preso a soddisfare una ricerca individuale. In effetti dal 1956 Landini sembra prendere le distanze dall’ideologia marxista ponendosi in un atteggiamento più critico, delineando un interesse per l’arte informale e personaggi come Rothko, Pollock e De Staël. A quest’ultimo Landini dedicherà un importante articolo su “Paragone” ponendo per primo in Italia l’attenzione su questo artista.
Sempre nel 1956, decide di dedicarsi completamente alla pittura, abbandonando la sua attività di critico, rientra in Italia per esercitare la professione d’insegnante di lingua francese, poi il trasferimento nel 1958 a Milano.
Qui avvia una ricerca in direzione di una pittura non figurativa, a carattere emozionale, dove la realtà viene percepita per frammenti, da sollecitazioni psicologiche. Opere di intensa concentrazione cromatica dove più si riscontra una vicinanza con la pittura di De Staël (Il grande cielo, 1960; Lontano orizzonte, 1960; Ombre rosse, 1960). La nuova esperienza sfocia in una mostra alla Galleria il Milione, suscitando un profondo interesse nell’ambiente culturale milanese.
Continua ad occuparsi di arte astratta, ma già nel 1964, nella presentazione della sua personale alla Galleria d’Arte Vannucci di Pistoia scrive: “… mentre da una parte sento il bisogno di concepire il quadro secondo quella struttura libera che la grande arte del dopoguerra ha rivelato, d’altra parte mi si presenta sempre più l’esigenza di orientare quella libera struttura secondo un’evidenza di realtà quale poco a poco il mondo contemporaneo, in mezzo a difficoltà e confusioni, definisce e mette in valore” (L. Landini, Lando Landini (catalogo della mostra), Pistoia, Galleria d’Arte Vannucci, 1964).
Le opere della fine degli anni Sessanta contengono interessi per il dato reale. La percezione visiva si concretizza in immagini che raccontano frammenti di vita, (Macchina da corsa rossa, 1967) e attraverso una libera lettura della vicenda artistica di Robert Rauschenberg egli lavora nel recupero di singole sequenze cromatiche per ricomporre poi un unico insieme.
La storia dell’artista Landini è sempre stata caratterizzata da una sorta di curiosità interiori e intellettuali, nella ricerca a volte affannosa di nuovi stimoli e sollecitazioni. I suoi viaggi, i soggiorni all’estero, ancora oggi divide la sua vita tra Pistoia e Parigi, sono da leggere come una continua inquietudine conoscitiva.
Nelle opere degli anni Ottanta-Novanta, la realtà è di nuovo forma, colore, luce, in un movimento continuo che va dal figurativo al segno più interiorizzato, verso una pittura che si volge ad esiti fortemente materici (Colline e cortile di campagna, 1993).
Il circolo aziendale Breda dedica il Premio San Giorgio 2012 a Lando Landini e organizza una mopstra nell’ex chiesa di san Giovanni a Pistoia. Le opere di Lando Landini si trovano in collezioni pubbliche e private in particolare a Parigi e Pistoia.
In tutta la vicenda artistica di Landini si avvertono alternanze di linguaggi che si intersecano e si sovrappongono per consentire ora di aprirsi al rigore di una fedeltà visiva, ora ad una più libera gestualità abbandonandosi a situazioni emotive diverse.
Lui stesso riconosce questo suo “andirivieni”, la consapevolezza che vivendo nella realtà non si può non esserne da essa sollecitati. A proposito dell’intuizione della creazione pittorica, scrive di essa come “contrasto e punto d’incontro tra istanze espressive individuali e sollecitazioni di partecipazione ad una realtà che moltiplichi e esalti la nostra esperienza umana” (cfr. L. Landini, La mostra di De Staël a Parigi, in “Paragone”, n. 79, 1956).
Landini non dipinge mai dal vero, anche Rocce di Garraf è un opera di memoria: “La memoria si può anche considerare in arte come un punto di convergenza tra figurativo e non figurativo, fra un elemento interno ed uno esterno a noi” (M. Tuci, Un artista “colto”: intervista a Landini, in AA.VV., Lando Landini -Mostra antologica - Opere dal 1941 al 1994 (catalogo della mostra), Pistoia, Edizioni Comune di Pistoia, 1994, p. 36).
Il dato reale diventa un pretesto, il punto di partenza per una rappresentazione di sentimenti, una visione libera, una nozione di pittura, sviluppatasi dall’impressionismo, dove il pittore interviene in relazione alla vibrazione luminosa all’uso della materia pittorica più o meno pura.
In Rocce di Garraf, l’opera è del 1971, si svela l’interesse dell’artista per il colore-forma, aspetto questo che sempre lo ha affascinato già dai primi anni del suo operare artistico, quando individuava come punti di riferimento la pittura di Monet e Matisse. S.T.
Si tratta di un disegno a carboncino nero realizzato dall’artista nel 1991. Il titolo è emblematico in quanto contiene un elemento preso dal contesto reale ma trasportato in una contemplazione sospesa tra conoscenza e intuizione poetica. L’esecuzione si ha per piccoli tratti sfumati, che possono solo evocare l’idea di un insieme di alberi, tante macchie che alternano dei pieni e dei vuoti, dove la memoria scrive ancora il contenuto dell’immagine.L’allusione ad una sacralità del reale, che si chiarisce attraverso il titolo, mette a nudo come sottolinea Paolo Fabrizio Iacuzzi: “quel legame tra ‘segno plastico’ e ‘traccia poetica’ come riconosciuta lezione di Matisse, Klee e Morandi” (P.F. Iacuzzi, Un mistico della contraddizione, in AA.VV., Lando Landini - Mostra Antologica - Opere dal 1941 al 1994 (catalogo della mostra), Pistoia, Edizioni Comune di Pistoia, 1994, p. 23).
Incisione all’acquaforte realizzata da Lando Landini nel 1994 per la cartella commissionata dall’Associazione Industriali della Provincia di Pistoia “1944-1994: 50 anni di Lavoro”. “Con tratteggi, segni chiaroscurali e figure nebulose, Landini rende l’idea del lavoro dell’uomo con sensazioni vicine all’espressionismo.” Il curatore della cartella “1944-1994: 50 anni di Lavoro” realizzata dall’Associazione degli industriali della Provincia di Pistoia, Umberto Castelli, analizza l’opera del Landini e mette in evidenza con poche parole lo stile del maestro. Una figura maschile di schiena, nuda cammina verso un casolare ai bordi di un bosco: l’immagine è resa con un segno frammentato, scarsa definizione si trova anche nella caratterizzazione del paesaggio, avvolto in una sorta di velata scomposizione di spazi, e l’osservatore viene colto dal desiderio di ricercare, in quelle penombre, i segreti, i silenzi, la malinconia dei luoghi e del proprio essere. Anche nella grafica come nei dipinti di Landini si avverte l’interesse per Soutine che lo spinge verso forme meno uniformi, ma sempre concrete in una costante ricerca della materia. C’è in Landini una precisa propensione verso la qualità pittorica che non egli non riconosce nel colore o nel segno, ma nel cromatismo e nel chiaroscuro, ottenuto grazie all’uso di linee che si mescolano e sovrappongono, e fuligginosi contrasti che creano con le ombre una realtà indefinita che spinge verso riflessioni che nascono non dall’osservazione, ma dal vissuto.