Silvio Loffredo nasce a Parigi nel 1920 in seguito al trasferimento della famiglia da Torre del Greco. Il suo primo maestro è stato il padre Michele, noto ritrattista che lo avvia alla pratica del disegno e gli offre l’occasione di conoscere e frequentare Picasso e Legér. Per mantenersi agli studi, compiuti presso la scuola del nudo di Grand Chaumiére, lavora assieme al fratello Victor come sarto. Poco prima della guerra si sposa con la giovane ritrattista Suzanna Newell. Durante il secondo conflitto mondiale combatte nei reparti italiani d’appoggio alla VIII Armata. Alla fine della guerra si trasferisce a Roma dove frequenta l’Accademia sotto la guida di Amerigo Bartoli, poi si reca a Siena e infine sposta la sua iscrizione scolastica definitivamente a Firenze dove inizia il suo apprendistato sotto Ottone Rosai, riscoprendo la pittura francese e le grandi novità pittoriche introdotte da Picasso. Intanto comincia il suo periodo espositivo durante il quale appare chiaro che ha superato la fase di conoscenza dell’opera picassiana propendendo per una tensione dinamica ed inarrestabile che si orienta verso la scomposizione della forma e la ricerca del colore. Fra il 1950 e il 1960 si dedica con passione assieme al fratello Victor all’attività di regista e con lui collabora a vari progetti per la Cooperativa del Nuovo Cinema Indipendente di Roma. La sua continua voglia di conoscenza lo porta a viaggiare per il mondo approfondendo le sue ricerche e sperimentazioni: nel 1953 è a Santiago del Cile, tappa importante per la visione diretta degli splendidi murales sud americani, e tra il 1959 e il 1960 porta a Philadelphia una sua personale che lo mette in contatto che le avanguardie statunitensi. Nel 1962 partecipa alla XXXI Biennale di Venezia e dopo numerose commissioni europee nel 1970 viene invitato a New York per commissioni pubbliche. Dal 1973 al 1990 è titolare a Firenze della cattedra di pittura all’Accademia di Belle Arti. Nonostante i suoi numerosi incarichi ufficiali in Italia non abbandona mai la sua passione per i viaggi che lo portano a scoprire, conoscere e analizzare personaggi sempre diversi per lui molto stimolanti, come dimostra la mostra inaugurata nel 1993 a Pisa al Museo Nazionale di San Matteo cinquanta incisioni dedicate a Le bateau ivre di Arthur Rimbaud. Nel 2004 gli viene consegnato il Premio “Città di Firenze Beato Angelico” in Palazzo Vecchio. Nell’ambito dell’esposizione della IV Biennale Internazionale di Grafica espone dodici incisioni che dimostrano la sua profonda attitudine al disegno in favore di una linea decisa che assume ruoli differenti: costruire e distruggere contemporaneamente. Il suo autoritratto è esposto alla Galleria degli Uffizi di Firenze.
Di Silvio Loffredo si contano più di duecentocinquanta fogli incisi che costruiscono una bizzarra e affascinante galleria di immagini: uomini e donne incontrate nelle strade, personaggi del circo, animali reali e fantastici, palazzi, strade e architetture fiorentine, autoritratti che evidenziano la sua stravaganza e originalità evidenziando lo sguardo furbo e impenitente di in giovane ultra novantenne. Loffredo un girovago, sognatore che offre con le sue opere una verità e una poesia autentica e genuina. L’artista armeggia tra acidi e lastre, tra morsure e coperture, ottenendo descrizioni minuziose e sottili che si alternano a grovigli indecifrabili reinterpretando la realtà attraverso la sua personale visione del mondo. Nell’acquaforte con il Ritratto del padre, molto spesso realizzata in pendant con quello della madre, si nota una incontrollabile curiosità per i segni che il tempo lascia sui volti dei suoi amati congiunti, nei quali l’artista trasferisce una fonte incessante di autenticità emotiva. Loffredo non si sofferma a sottoporre i suoi soggetti a dissensi culturali nell’ambito della comunicazione, ma si muove verso la certezza nell’essenziale serenità interna del suo modo di essere, seguendo i propri impulsi e fuggendo il rimpianto per le emozioni perdute che solo la memoria, e quindi le sue opere, riescono a mantenere vive. “Non è il mercato che Loffredo studia, ma l’arte nelle sue molteplici opportunità creative e attraverso la vita di tutti i giorni esplora le emozioni e lo stato d’animo con drammaticità, ilarità, lirismo, poesia, senza mai condannare…Loffredo non interpreta mai il ruolo tradizionale dell’illustratore perché… la sua spontanea, anticonformistica e ironica partecipazione alla vita lo rendono unico.” Così lo descrive il suo maestro Rosai “Il suo segno è rotto, inquieto e inquietante… Chi conosca bene Loffredo lo riconoscerà facilmente nei movimenti e dagli occhi di ogni sua creatura dipinta sia questa di natura umana od animale” (cfr. P. Cassinelli, Silvio Loffredo: segni e sogni di un funambolo, in 4°Premio internazionale Biennale d’Incisione, Città di Monsummano Terme, catalogo della mostra, Pisa 2005, pp.41-42)