Subito dopo le scuole elementari viene “messo a bottega” da un falegname, ma contemporaneamente frequenta i Corsi Serali per l’Avviamento al Lavoro, e inizia anche i primi disegni dietro le locandine teatrali che trova attaccate nel negozio di barbiere del padre. Sarà il nonno che lo spinge ad iscriversi alla Scuola Artigiana di Fabio Casanova. Qui Lucarelli si introduce per la prima volta nel mondo dell’arte e conosce quelli che saranno i suoi compagni di sempre: Remo Gordigiani e Aldo Frosini. Con quest’ultimo continuerà gli studi a Firenze, all’Istituto d’Arte di Porta Romana, allievo di Giuseppe Lunardi e Alberto Caligiani. Il periodo fiorentino rappresenta per Lucarelli uno dei momenti più importanti per la formazione artistico culturale. Insieme a Frosini, Jorio Vivarelli e al pittore Silvio Loffredo, alloggia a Villa Favard, dove la scuola metteva a disposizione degli studenti fuori sede, alcune stanze della soffitta. Lucarelli continua anche a lavorare, prima nello studio dello scultore fiorentino Cesare Fiumi, dove dipinge pannelli in creta, poi in quello di Primo Conti, dove esegue piccoli lavori di bottega.
Nel 1946 si iscrive a Magistero seguendo la sua vocazione per l’insegnamento.
Per la vicenda artistica questi sono anni importanti; sono anni di studio, di scoperte, di amicizie fra gli artisti fiorentini. Conosce Fernando Farulli, Marcello Guasti, Ottone Rosai; scopre i Primitivi, ammira Masaccio e Giotto e poi Morandi, De Pisis e De Chirico.
In questo stesso anno ottiene sia l’incarico di assistente a Pietro Bugiani alla Scuola d’Arte di Pistoia, e la cattedra al Liceo Scientifico. Ma sarà la Biennale di Venezia del 1948, la prima del dopoguerra, l’evento più sconvolgente di questi anni, e non solo per Lucarelli, ma per tutta quella generazione di artisti pistoiesi che per la prima volta si confrontavano con l’astrattismo. Così ricorda Lucarelli: “… insieme a Gordigiani, una volta tornati a casa, ho distrutto una ventina di quadri … Insomma dopo la Biennale, dicemmo: ‘Basta con il figurativo!’ E tentammo la via dell’astratto” (M. Tuci, Il paesaggio come vocazione: intervista a Marcello Lucarelli, in AA.VV., Marcello Lucarelli Mostra Antologica opere dal 1943 al 1996 (catalogo della mostra), Pistoia, Tipografia Artigiana, 1997, p. 32).
Il risultato dei tentativi astratti porta non tanto all’abbandono del figurativo (ma cancella le tracce di un descrittivismo ancora ottocentesco), quanto ad una libera interpretazione coloristica del dato reale (Venezia I, 1948; Ponte del Viale Italia, 1948). La lezione di Kandinskij fu significativa in questo senso specie quello dei paesaggi di Murnau.
In definitiva tutti gli anni Quaranta rappresentano per l’artista il periodo della formazione, ne consegue una predilezione per il paesaggio che troverà la formale affermazione nel decennio successivo.
Nel 1950, Marcello Lucarelli ottiene una cattedra come insegnante di disegno in Sardegna, prima ad Ales, poi a Cagliari. Nonostante l’impegno della scuola, è un periodo fervido e felice per la pittura. La sua sensibilità riesce a stabilire un legame affettivo con la natura di quei luoghi caricandolo di entusiasmo e di nuovi stimoli.
Nel 1952 è presente alla IV Mostra Regionale d’Arte a Cagliari partecipando in seguito regolarmente a molte manifestazioni espositive. Nel 1954 si tiene a Pistoia la prima personale, con la presentazione di Giulio Innocenti. Liberatosi ormai, dall’accademica fedeltà al dato reale la sua pittura sembra ora evocare più che descrivere, i suoi paesaggi sono un elaborazione della memoria, nati da piccoli appunti schizzati dal vero, sono poi ripensati in studio, per far posto a suggestioni disparate, rivelazioni di una natura lirica.
Nel 1960, rientra a Pistoia. Ha una cattedra all’Istituto Tecnico, riallaccia i rapporti con gli amici, con cui era sempre rimasto in contatto e continua a dipingere i paesaggi vissuti in Sardegna insieme ad angoli di campagna toscana (Campagna pistoiese III, 1968; Colline a Cerreto, 1968). Nei toni di blue, arancio, verdi cupi e gialli intensi, si leggono annotazioni colte: Cézanne, ma anche la pittura di Pont-Aven quando le accese cromie non seguono riferimenti naturalistici. (Grande ulivo a Badessa, 1979; Campagna di Solanas I, 1988).
Tuttora Marcello Lucarelli continua a fare pittura dai sui appuntini, in una contaminazione di ricordi e nuove accensioni, perché come dice lui: “Io istintivamente, ho sempre avuto l’immagine di un ‘qualcosa’ davanti agli occhi” (M. Tuci, Il paesaggio come vocazione: intervista a Marcello Lucarelli, in AA.VV., Marcello Lucarelli Mostra Antologica opere dal 1943 al 1996 (catalogo della mostra), Pistoia, Tipografia Artigiana, 1997, p. 35).
Subito dopo le scuole elementari viene “messo a bottega” da un falegname, ma contemporaneamente frequenta i Corsi Serali per l’Avviamento al Lavoro, e inizia anche i primi disegni dietro le locandine teatrali che trova attaccate nel negozio di barbiere del padre. Sarà il nonno che lo spinge ad iscriversi alla Scuola Artigiana di Fabio Casanova. Qui Lucarelli si introduce per la prima volta nel mondo dell’arte e conosce quelli che saranno i suoi compagni di sempre: Remo Gordigiani e Aldo Frosini. Con quest’ultimo continuerà gli studi a Firenze, all’Istituto d’Arte di Porta Romana, allievo di Giuseppe Lunardi e Alberto Caligiani. Il periodo fiorentino rappresenta per Lucarelli uno dei momenti più importanti per la formazione artistico culturale. Insieme a Frosini, Jorio Vivarelli e al pittore Silvio Loffredo, alloggia a Villa Favard, dove la scuola metteva a disposizione degli studenti fuori sede, alcune stanze della soffitta. Lucarelli continua anche a lavorare, prima nello studio dello scultore fiorentino Cesare Fiumi, dove dipinge pannelli in creta, poi in quello di Primo Conti, dove esegue piccoli lavori di bottega.
Nel 1946 si iscrive a Magistero seguendo la sua vocazione per l’insegnamento.
Per la vicenda artistica questi sono anni importanti; sono anni di studio, di scoperte, di amicizie fra gli artisti fiorentini. Conosce Fernando Farulli, Marcello Guasti, Ottone Rosai; scopre i Primitivi, ammira Masaccio e Giotto e poi Morandi, De Pisis e De Chirico.
In questo stesso anno ottiene sia l’incarico di assistente a Pietro Bugiani alla Scuola d’Arte di Pistoia, e la cattedra al Liceo Scientifico. Ma sarà la Biennale di Venezia del 1948, la prima del dopoguerra, l’evento più sconvolgente di questi anni, e non solo per Lucarelli, ma per tutta quella generazione di artisti pistoiesi che per la prima volta si confrontavano con l’astrattismo. Così ricorda Lucarelli: “… insieme a Gordigiani, una volta tornati a casa, ho distrutto una ventina di quadri … Insomma dopo la Biennale, dicemmo: ‘Basta con il figurativo!’ E tentammo la via dell’astratto” (M. Tuci, Il paesaggio come vocazione: intervista a Marcello Lucarelli, in AA.VV., Marcello Lucarelli Mostra Antologica opere dal 1943 al 1996 (catalogo della mostra), Pistoia, Tipografia Artigiana, 1997, p. 32).
Il risultato dei tentativi astratti porta non tanto all’abbandono del figurativo (ma cancella le tracce di un descrittivismo ancora ottocentesco), quanto ad una libera interpretazione coloristica del dato reale (Venezia I, 1948; Ponte del Viale Italia, 1948). La lezione di Kandinskij fu significativa in questo senso specie quello dei paesaggi di Murnau.
In definitiva tutti gli anni Quaranta rappresentano per l’artista il periodo della formazione, ne consegue una predilezione per il paesaggio che troverà la formale affermazione nel decennio successivo.
Nel 1950, Marcello Lucarelli ottiene una cattedra come insegnante di disegno in Sardegna, prima ad Ales, poi a Cagliari. Nonostante l’impegno della scuola, è un periodo fervido e felice per la pittura. La sua sensibilità riesce a stabilire un legame affettivo con la natura di quei luoghi caricandolo di entusiasmo e di nuovi stimoli.
Nel 1952 è presente alla IV Mostra Regionale d’Arte a Cagliari partecipando in seguito regolarmente a molte manifestazioni espositive. Nel 1954 si tiene a Pistoia la prima personale, con la presentazione di Giulio Innocenti. Liberatosi ormai, dall’accademica fedeltà al dato reale la sua pittura sembra ora evocare più che descrivere, i suoi paesaggi sono un elaborazione della memoria, nati da piccoli appunti schizzati dal vero, sono poi ripensati in studio, per far posto a suggestioni disparate, rivelazioni di una natura lirica.
Nel 1960, rientra a Pistoia. Ha una cattedra all’Istituto Tecnico, riallaccia i rapporti con gli amici, con cui era sempre rimasto in contatto e continua a dipingere i paesaggi vissuti in Sardegna insieme ad angoli di campagna toscana (Campagna pistoiese III, 1968; Colline a Cerreto, 1968). Nei toni di blue, arancio, verdi cupi e gialli intensi, si leggono annotazioni colte: Cézanne, ma anche la pittura di Pont-Aven quando le accese cromie non seguono riferimenti naturalistici. (Grande ulivo a Badessa, 1979; Campagna di Solanas I, 1988).
Tuttora Marcello Lucarelli continua a fare pittura dai sui appuntini, in una contaminazione di ricordi e nuove accensioni, perché come dice lui: “Io istintivamente, ho sempre avuto l’immagine di un ‘qualcosa’ davanti agli occhi” (M. Tuci, Il paesaggio come vocazione: intervista a Marcello Lucarelli, in AA.VV., Marcello Lucarelli Mostra Antologica opere dal 1943 al 1996 (catalogo della mostra), Pistoia, Tipografia Artigiana, 1997, p. 35).
Le opere di Marcello Lucarelli si trovano a Cagliari, nella sede dell’Assessorato al Turismo della Regione Sardegna; nelle collezioni civiche del Comune di Cagliari, Pistoia, Sambuca, Pistoia, San Marcello, Pistoia, Pieve a Nievole, Pistoia. Inoltre in collezioni private in Italia e all’estero.
Le opere di Marcello Lucarelli si trovano a Cagliari, nella sede dell’Assessorato al Turismo della Regione Sardegna; nelle collezioni civiche del Comune di Cagliari, Pistoia, Sambuca, Pistoia, San Marcello, Pistoia, Pieve a Nievole, Pistoia. Inoltre in collezioni private in Italia e all’estero.
Sicuramente la Sardegna dovette impressionare fortemente l’animo di Marcello Lucarelli, quei paesaggi immobili, deserti, bruciati da una natura violenta che niente risparmia delle asprezze Mediterranee, sarà qui infatti che i suoi paesaggi acquisteranno il loro linguaggio “mitico”.
La pittura di Lucarelli è fatta di luce e forme, forme a volte delimitate da un contorno, che si presentano come masse di colore. Anche Paesaggio di mare, nasce da una suggestione della Sardegna, rielaborata e quindi deformata dalla memoria, dalla sua capacità di reinventare la realtà. Nella tela lo spazio è occupato dal mare e dal cielo, solo da un lato si affacciano le rocce.
“… Io vidi il mare l’ultima volta da bambino, nel ’34 … l’ho poi rivisto solo nel ’48, eppure allora l’istinto era quello di dipingere il mare, quasi un ricordo lontano” (M. Tuci, Il paesaggio come vocazione: intervista a Marcello Lucarelli, in AA.VV., Marcello Lucarelli Mostra Antologica opere dal 1943 al 1996 (catalogo della mostra), Pistoia, Tipografia Artigiana, 1997, p. 30). Questo ricordo dell’artista induce a pensare che il metodo di ricostruzione mnemonico messo in atto per il suo operare pittorico si addica perfettamente alla sua indole, alla sua esistenza, caricando il dato reale di un’interpretazione personalissima che lo esalta come fenomeno in se stesso che va al di là di una semplice connotazione data dalla percezione ottica.
Anche al cielo è legato un ricordo, bisogna risalire ai tempi quando l’artista lavorava nello studio di Primo Conti: “… Lui mi diceva sempre che facevo dei bei cieli e io mi consolavo pensando che l’apprezzamento sul cielo, superando il didascalismo del paesaggio, diventava un giudizio sulla pittura” (M. Tuci, Il paesaggio come vocazione: intervista a Marcello Lucarelli, in AA.VV., Marcello Lucarelli Mostra Antologica opere dal 1943 al 1996 (catalogo della mostra), Pistoia, Tipografia Artigiana, 1997, p. 31). S.T.
Si tratta di un paesaggio montano, una natura impervia, disabitata. Le pennellate sembrano seguire le linee dei declivi, facendo emergere le masse e i profili delle montagne mediante l’uso dei colori: giallo-verde in primo piano, poi la macchia scura retrostante per incorniciare il colore luminoso del cielo e del profilo montuoso all’orizzonte, dove qualche pennellata violacea cattura una luce quale filtro dell’occhio dell’anima. S.T.
Dopo l’arrivo in Sardegna, nel 1950, Marcello Lucarelli si iscrive al Sindacato degli Artisti della CGIL, questo gli permette di entrare subito in contatto con molti pittori dell’isola, in particolare con Foiso Fois promotore, con la sua pittura di una poetica neorealista. Per Marcello Lucarelli la figura umana è sempre stata un elemento del tutto secondario per il suo mezzo espressivo, e la natura disabitata sarda, confaceva perfettamente al suo bisogno di dialogo interiore, per cui una rappresentazione paesaggistica integrava ogni sua partecipazione sociale e affettiva.
Anche questa volta il dipinto è reso con una tale immediatezza da far pensare ad un bozzetto, tale è la freschezza e la rapidità di elaborazione, il dipingere veloce e sicuro senza pentimenti. S.T.
Si tratta di un incisione ad acquaforte acquerellata a mano. Il segno si muove un po’ in tutte le direzioni, nello stesso modo con cui l’artista muove il pennello. Descrive i contorni delle forme e ne individua il movimento all’interno di esse, (per esempio la modulazione del manto erboso davanti alle case) stabilendo quel rapporto di partecipazione emotiva che si ritrova in tutta la sua opera.S.T.