Dopo aver conseguito gli studi artistici, si dedica soprattutto alla pittura e scultura. Nel 1955 si trasferisce da Firenze a Livorno, dove inizia un’intensa attività nel teatro d’avanguardia, a cui unisce una particolare predilezione per la poesia e la letteratura che, l’artista elabora in forma di collage tra parole ed immagini. Dal 1963 si occupa di poesia visiva, dando luogo al suo primo Poema Tecnologico, tuttora inedito, dal titolo L’indiscrezione è forte. I suoi viaggi frequenti a Firenze la mettono in contatto con Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, fondatori del Gruppo 70; finché, nel 1965 decide di lasciare Livorno per tornare a Firenze, dove l’ambiente culturale è particolarmente effervescente ed attivo. Iniziano da questo momento i suoi veri e propri contatti con l’ambiente artistico non solo fiorentino ma, anche italiano. Con la sua prima partecipazione alla mostra di poesia visiva organizzata dal Gruppo 63, nella Galleria Guidi di Napoli, entra a pieno merito a far parte di quel gruppo di poeti, musicisti e pittori (Antonio Bueno, Giuseppe Chiari, Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti) che, si riunirono nel Gruppo 70. L’artista, viene attratta da subito dal versante verbo-visuale della Poesia Tecnologica, accentrando l’interesse soprattutto sui linguaggi di comunicazione di massa. La sua ricerca si sviluppa in direzione della Cinepoesia e delle tecniche di montaggio cinematografico non-lineari; da tale idea nasce un lavoro di équipe tra la Marcucci, Bueno, Miccini e Pignotti, chiamato appunto Cinepoesia, che la stessa artista illustra nel saggio dal titolo La cinepoesia e le tecniche del montaggio non-lineari.
Oltre alla cinepoesia, non vanno escluse dal suo curriculum artistico, le grandi prove di poesia visiva con i collages, che sono il risultato di un accostamento azzardato, irriverente ed ironico, tra immagini e parole, rubate ai mass-media, e decontestualizzate dal loro significato tradizionale, i suoi temi preferiti riguardano: la donna e la condizione femminile, ma anche la politica e i più tragici eventi della storia contemporanea.
Dal 1972, dopo la conclusione dell’esperienza del Gruppo 70 (che inizia a disperdersi già dal 1968), Lucia Marcucci, entra a far parte del Gruppo Internazionale della Poesia Visiva, al quale si unirono anche Miccini ed Ori. In questo periodo la ricerca della Marcucci si apre verso un tipo di esperienza più personale ed autonoma; realizza la serie delle Impronte, nelle quali, l’artista agisce più direttamente dentro l’opera con scritte a mano libera ed impronte di parti del suo corpo (ad esempio, le mani), il tutto, unito al collage di frammenti rubati a riviste e quotidiani. Anche la Marcucci, come i suoi compagni, ha sempre alternato all’attività artistica quella saggistica e critica, ricordiamo, per esempio, svariate collaborazioni a riviste come “Arte Oggi”, “Lotta Poetica”, “Il Portico”, “Nuova Corrente”, ed altre.
Ha partecipato a importanti manifestazioni nazionali ed estere quali: Festival dei Due Mondi, Spoleto, 1967; XXXVI Biennale di Venezia, Il libro come luogo della ricerca, 1972; XXXVIII Biennale di Venezia, Dalla natura all’arte dall’arte alla natura, con la mostra: Materializzazione del Linguaggio, 1978; International Kunstmesse Art 4, Basilea, 1973; Esperimente’73, Madrid, 1973; Parola, immagine, oggetto, Istituto Italiano di Cultura, Tokio, 1976; Arte come scrittura, Quadriennale, Roma, 1986; e fra le ultimissime esposizioni, il Premio AutoreDonna, mostra d’arte contemporanea al femminile, Castiglioncello, 1999.
Negli anni Novanta, il lavoro di Lucia Marcucci, segue un’indagine più autonoma e personale attraverso l’esperienza della Poesia Visiva, che ha caratterizzato, dal 1963, il periodo della militanza nel Gruppo 70. Nell’opera Parola di Poeta del 1991, l’artista elimina dalla composizione ogni residuo di collage (che già dalla fine degli anni Settanta viene combinato con frasi scritte a mano libera e con impronte di parti del corpo), per affidarsi completamente al colore puro. Il tratto infantile che la Marcucci utilizza per delimitare un disegno appena abbozzato, fa emergere la sagoma di un libro aperto, posto su un leggio e sorretto dalla porzione di una colonna con capitello ionico decorato con volute. L’immagine, che richiama alla mente un’iconografia sacra, viene profanata dall’intervento dell’artista la quale, trascrive sulle due pagine del testo, una rielaborazione personale e del tutto trasgressiva di una citazione religiosa. Il risultato finale non tradisce lo spirito ironico della Marcucci; infatti, il messaggio risulta decisamente dissacrante perché giocato sulla voluta ambiguità dei significati dell’immagine e della parola: “[…] Nell’ironia, proprio nel senso etimologico di inversione di senso, di rovesciamento di significati, consiste il tratto più saliente del nostro lavoro […]” (cfr. E. Crispolti, E. Miccini, Sarenco, in Poesia Visiva 1963-1988. 5 maestri, Firenze 1989, pp. 356-363).
Dunque, affidandosi all’ironia e alla metafora, l’artista riesce a sovrapporre due concezioni dell’espressività lineare, in questo caso: da una parte, la religione e la figura di Dio, dall’altra, la poesia e la figura del poeta, per arrivare a ricreare una nuovo messaggio “non-lineare” nato appunto dalla contrapposizione dei due modelli lineari; questo discorso è messo in evidenza dalla stessa Lucia Marcucci in un suo testo sulla cinepoesia che può ben valere anche per la poesia visiva. Scrive la Marcucci: “Partendo dal presupposto che nella nostra civiltà la linea è ritenuta fondamentale, cioè che tutte le nostre espressioni appaiono ordinate linearmente, ci siamo rivolti una serie di domande: la linea è veramente presente nella realtà? E se è presente potrebbe essere superata? Si potrebbe tentare di descrivere qualcosa senza una continuità di spazio e di tempo? […] A me sembra che la poesia visiva abbia risposto a sufficienza a tutte queste domande, indicando non poche nuove strade alla espressione dell’arte, facendo regredire alla preistoria i modo classici del fare poesia […]” (cfr. L. Marcucci, in Firenze/Arti Visive. Documenti ed esperienze dal dopoguerra ad oggi, a cura dello Studio d’Arte Il Moro, Firenze, 1985, p. 178).