Allievo di Giuseppe Viviani e di Rodolfo Margheri, Vairo Mongatti si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1965, dove attualmente, dopo un periodo d’insegnamento alla Clementina di Bologna, è titolare di una cattedra di tecniche dell’incisione.
Tramite la tecnica dell’acquaforte Mongatti si è affermato tra i più notevoli incisori italiani, rimanendo fedele, nella sua grande e raffinata padronanza tecnica, a un concetto “calligrafico” di realtà, il quale nella sua articolata struttura non si ferma alla corsiva apparenza, ma, attraverso le maglie di quella realtà penetra nell’essenza delle cose, siano esse interni di ambienti, scorci di paesaggio, oggetti e fiori amatissimi.
Accademico ordinario per la Classe di Pittura della fiorentina Accademia delle Arti del Disegno, interamente dedito all’insegnamento e al suo lavoro d’incisore, Mongatti assomiglia anche nel suo viver discreto ai suoi maestri Margheri e Viviani, e all’altro suo spirituale, Morandi. La sua presenza si percepisce dunque quasi esclusivamente attraverso la riconoscibilità della sua opera che non per altre pubbliche partecipazioni.
L’artista è stato invitato alle più importanti rassegne, come la Biennale Nazionale dell’Inci-sione a Cittadella nel 1969, 1972 e 1985, e ancora nel ’72 alla Biennale della Grafica a San Paolo del Brasile alla Biennale Internazionale della Grafica a Palazzo Strozzi nel 1970 e nel ’74. Nel 1981 ha esposto alla Biennale Internazionale dell’In-cisione a Seul.
Un “lento accumulo di esperienze”, come ha scritto Domenico Viggiano nel catalogo della mostra sulle acqueforti dell’artista tenuta nel ’96 a Villa Renatico Martini, attraverso le quali “si formava l’incisore ‘vero’, quello che ama far emergere il segno, scavato dall’acquaforte, nella lastra morsa da una trama ricca e fittissima, che restituisce fogli preziosi per tono e umore”. Esperienze ancor più visibili nelle grandi rassegne personali, come quella citata di Monsummano e sull’altra antologica di lavori compresi tra il 1963 e il 1990 tenuta a Santa Croce sull’Arno alla Galleria dell’Incisione Nuvola Nera.
Le sue opere si trovano in musei e raccolte pubbliche, come la Galleria d’Arte Moderna di Torino, il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi a Firenze, la Biblioteca Paolina della Città del Vaticano, la Raccolta Bertarelli a Palazzo Sforzesco a Milano.
Nella primavera del 1996 Vairo Mongatti venne invitato dal Comune di Monsummano Terme a tenere una mostra personale di 75 acqueforti alla Villa Renatico Martini. Così scriveva in apertura del catalogo l’allora assessore alla cultura Francesco Polizzi: “Un suo lavoro in particolare mi ha colpito ed è “Lo studio delle acqueforti” datato 1990, nel quale a mio avviso emerge l’immagine della sedia che è posta nella posizione di invitare ogni spirito eletto a sedervisi, essa rappresenta l’invito universale ad entrare in quel mondo di intimità di sacrificio e di volitività, mentre la luce che penetra attraverso il grande finestrone sembra svelare i segreti della stanza”.
In questa pur succinta osservazione sta il fondo del significato metaforico dell’opera incisoria di Vairo Mongatti: quel tavolo ottocentesco a zampa di leone coperto da un drappo guarnito, anch’esso d’altri tempi, reca sul piano quale marcato elemento contemporaneo una lampada a braccio snodabile, puntata su un libro di acqueforti. Un paio di occhiali posati sul volume e la sedia posizionata a “invito”, rammentano l’assenza momentanea dello “spirito eletto” che era intento a quello studio.
È, quello “spirito eletto”, il medesimo dell’artista che metaforicamente aleggia nella stanza, presenza palpabile e impalpabile come il pulviscolo che appare e dispare tra la lama di luce della finestra e i coni d’ombra delle pareti. Mongatti, incisore da sempre, qui mostra il suo mondo che alimenta la propria vocazione di studioso e di artefice del bianco e del nero, alimentata e rinnovata attraverso la continua applicazione e lo studio.
Fin qui il significato “metafisico” di questa immagine mongattiana (anche se Luigi Bernardi tende a non assegnare all’opera dell’artista tale “metafisicità” in senso morandiano): metafisica per la sua celata essenza, significato d’apparenza oltre la realtà visibile.
Un significato generato dall’atmosfera, e atmosfera generata dal diverso pausare dei ritmi incrociati dei bianchi e dei neri, i cui cambi di marcia si riflettono in lastra per granature diverse, come diverse sono le direzioni dalle quali sortono a loro volta le atmosferiche modulazioni tonali da cui prendono corpo piani e volumi, a suggerire a ogni oggettiva presenza una sorta di “processo di vita”, o, come ha scritto Bernardi, “interazione o transazione tra essi e l’uomo”. M.M.