Laureato in Lettere, frequenta, nella prima metà degli anni Quaranta, il Caffè Le Giubbe Rosse dove conosce artisti e letterati come Ottone Rosai, Mario Luzi, Carlo Emilio Gadda e Giuseppe Ungaretti. Dopo un primo approccio alla pittura figurativa, entra in contatto con Vinicio Berti, Bruno Brunetti, Gualtiero Nativi, Arrigo Parnisari e Alvaro Monnini, un gruppo di giovani artisti accomunati da una evoluzione artistica in senso astratto che nel 1947 fondano il gruppo Arte d’oggi.
La ricerca artistica di Moretti volge verso una decisa astrazione geometrica; è presente alla più importante manifestazione espositiva del gruppo, citiamo la III Mostra Internazionale Arte d’Oggi svoltasi a Palazzo Strozzi nel giugno del 1949, che vede riuniti, oltre agli astrattisti fiorentini, anche artisti francesi vicini alla Galleria Denise René e alla rivista “Art d’aujourd’hui”, gli esponenti di Forma 1 e del MAC. Negli stessi anni inizia anche la sua collaborazione con la Galleria Numero e l’omonima rivista di Fiamma Vigo che, insieme all’artista diventa corrispondente da Firenze della rivista “Cobra”, (che fa riferimento all’omonimo gruppo di Bruxelles) sulla quale, nell’aprile del 1950, appare l’articolo di Moretti La pittura popolare e l’arte moderna. Dal 1951, si avvicina ad esperienze artistiche informali.
In questi primi anni Cinquanta Moretti fa parte del gruppo Mac-Espace esponendo tra Milano e Parigi dove risiede nel 1953 frequentando in particolare l’ambiente artistico della Galleria Denis René. Nello stesso anno partecipa a numerose esposizioni tra Roma e Torino, ricordiamo la mostra Arte franco-italiana (Torino 1953) e la Rassegna internazionale dell’arte astratta (Roma, 1954-55). Nei primi anni Sessanta, è nuovamente impegnato a Firenze dove partecipa alle attività culturali della Galleria Quadrante (ricordiamo tra le numerose esposizioni: A. Busignani, 5 artisti fiorentini, Galleria Quadrante, 1961; L.V. Masini, Linguaggio e attualità, in catalogo mostra personale, Galleria Quadrante, 1963) e della Galleria L’Indiano (citiamo: P. Santi, in catalogo mostra personale, Galleria L’Indiano, 1957); nel 1963 è presente, con i pittori Antonio Bueno e Silvio Loffredo, alla prima esposizione del Gruppo 70, tenutasi a Forte Belvedere così come alla seconda rassegna, organizzata da E. Miccini e L. Pignotti, sul tema Arte e Tecnologia, tenutasi nel giugno del 1964 alla Galleria S. Croce. Tra il 1964 e il 1965 risiede a New York, dove entra in contatto con la Pop Art, (citiamo l’articolo di L.R. Lippard, in “Pop Art”, New York, Preager Publ., 1966).
Gli anni Settanta, lo vedono impegnato nell’attività promozionale ed artistica della Galleria Schema di Firenze, che si è prolungata nel corso degli anni fino al 1994, ma che tuttoggi prosegue, con la collaborazione di Raul Dominguez. Nell’ambito della galleria l’artista allestisce le seguenti personali: Struttura-Valore, Galleria Schema, Firenze, 1972; Techne e Lavoro come Arte, Galleria Schema, Firenze, 1975; Installazioni, Galleria Schema, Firenze, 1992. Nel 1978 è presente alla XXXVIII Biennale di Venezia con la mostra personale dal titolo Alberto Moretti: Ideologia come Techne. Dagli anni Ottanta, l’artista recupera l’interesse per la sperimentazione della materia riproponendo lavori informali di grandi dimensioni.
Personalità estremamente ricettiva, Moretti passa da esperienze informali a soluzioni legate all’ambito della Pop Art e del Nouveau Réalisme, oltre ad interessarsi di Minimal Art e di concettualismo sviluppando sperimentazioni artistiche in cui usa la cinepresa e la fotografia. In questi anni Moretti continua ad alternare l’attività culturale di Schema, le esposizioni personali e collettive, partecipando a mostre internazionali e nazionali, citiamo: Alberto Moretti, Villa Romana, Firenze, 1982; Made in Florence, Sala d’Armi, Palazzo Vecchio, Firenze, 1983; Alberto Moretti. Autobiografia, Palazzo Pitti, Firenze, 1999. Ha, inoltre, collaborato a riviste fiorentine quali: “La Città”, “Numero” e “Il Ponte”, a “Linea Sud” di Napoli.
L’opera Passione del 1994, appartiene all’ultimo periodo informale dell’artista. Protagonista della stagione informale in toscana, Alberto Moretti, è pervenuto a questa forma, dopo un lungo lavoro, iniziato negli anni Cinquanta, sulle possibilità espressive della materia pittorica.
Parallelamente all’esperienza dell’Astrattismo Classico che, nell’immediato dopoguerra anima i dibattiti delle principali città italiane (Milano, Roma, Napoli, Firenze), Moretti si trova spinto già oltre la rigidità del geometrismo dei compagni astratti, in favore, di un’indagine sulla materia e sui materiali più grezzi assunti in sostituzione del classico pigmento. Sia nel caso astratto che in quello informale, che negli anni Cinquanta rappresentano due realtà artistiche parallele, è evidente un deciso ripudio verso la forma figurativa classica, in rottura e per contrasto, all’arte novecentista.
Tuttavia, nei lavori di Moretti, gli incastri della forma geometrica non raggiungono mai una rigidità e razionalità assolute bensì, vengono usati per realizzare strutture concepite dal colore che si organizzano in spazi ordinati dove il contorno e la linea sono appena percepiti. La sua linea, intesa come flusso tra segno e colore, è principalmente mentale, è una trama o un’architettura interiore che ordina uno spazio fatto di forme astratte che generano una nuova realtà, con la quale lo spettatore è messo in contatto.
Superando la composizione geometrica serrata, l’artista riesce ad andare oltre la campitura piatta, rapportandosi anche con la massa cromatica che diventa lentamente più pastosa e grumosa. Nelle ultime opere è il colore-materia e la gestualità a prende il sopravvento sulle strutture: la forma sembra come dissolversi ed evaporare in rarefazioni di colori primari che si impastano l’uno con l’altro, le stratificazioni di pigmento si mescolano e separano al tempo stesso, generando sulla tela, una vera e propria perturbazione di colori. Blu, rosso e giallo, diventano i protagonisti di una esplosione spontanea e di un impeto pittorico imprigionati nello spazio della tela. Come afferma Bruno Corà, in queste opere c’è un recupero della dimensione etica nell’azione pittorica che, si traduce visivamente in “un colore umido, una presenza inondativa, un movimento coprente, sequenze, nuove osservazioni naturali; immersione nel grande libro sempre aperto, a base di colori, materia, luce” (cfr. B. Corà, Tra le stagioni di Moretti da un dialogo con lui, in Alberto Moretti. Autobiografia, Firenze 1999, p. 36). S.B.