Interessata da sempre al disegno, Liberia Pini arriva alla pittura attraverso le suggestioni del paesaggio di casa, il medesimo dipinto da Ottone Rosai nella vicina via San Leonardo.
Uno di quei paesaggi verrà accettato nel 1952 all’esposizione Mezzo secolo d’arte toscana allestita in Palazzo Strozzi, mostra che segnerà l’esordio della ventitreenne pittrice fiorentina. L’interesse verso i temi figurativi improntati a un linguaggio espressionista, continuerà fino al 1956, anno del suo ultimo paesaggio già teso verso forme astratte, anche se ancora richiamanti la natura. La frequentazione di Vinicio Berti, artista di punta dell’astrattismo fiorentino conosciuto nel ’50, sarà stimolo alla ricerca che la giovane Liberia intraprenderà, dopo la necessaria assimilazione della nuova grammatica costruttiva astratta, verso strutturalismi non geometrici caratterizzati da una suggestiva trattazione della materia e da poetici assunti del colore.
Tra le sue esposizioni collettive fiorentine sono da segnalare nel ’59 la I Mostra Regionale Artisti Toscani, nel ’61 la II edizione della stessa e le mostre alla Casa della Cultura Majakovskij e alla Casa della Cultura Francesco Ferrucci, dove farà gruppo con Berti, Gallingani, Biliotti, Malenotti. Nel 1965 esporrà all’XI Premio Golfo de la Spezia il suggestivo Tempo d’oggi, tela destinata a rimanere tra i più significativi lavori dell’artista. Dal 1964 al ’66 Pini farà parte del collettivo Segno Rosso, prendendo parte a tutte le manifestazioni artistiche e politiche organizzate dal gruppo. Nel ’67 esporrà al Castello Svevo di Barletta nella mostra Undici pittori fiorentini.
Negli anni Settanta la sua pittura approderà alle “immagini costruttive”, chiare forme astratte di materia penetranti lo spazio che esporrà in mostre collettive assieme a più vecchi lavori: dal Premio Modigliani di Livorno alla Galleria Firenze e nella personale del ’78 alla Galleria Il Moro. Del 1983 è la mostra personale alla Galleria fiorentina Le Muse, e ancora a Firenze (con Accardi, Berti, Castellani, Chiari, Favi, Dorazio, Nigro, Malenotti, Perilli, Schifano, Uncini) all’Arte Auto fiorentina; nell’anno seguente esporrà alla Galleria Il Moro con Berti e Favi. Ancora in mostre collettive organizzate dal comune di Carmignano esporrà nel 1989 con Berti, Favi e Gori, e nel ’91, sul tema di Pinocchio, con Berti, Favi, Gori e Malenotti; ancora nello stesso anno espone alla Galleria AZ.
L’opera è una tra le prime astratte eseguite dall’artista, che fino all’anno precedente si era espressa tramite un figurativo espressionista. Come altri pittori non figurativi, Liberia Pini assorbì in toto le motivazioni dell’astrattismo, estetiche e ideologiche, tendenti a un’arte svincolata dagli schemi convenzionali “accademici, intimisti e borghesi”.
La giovane si cimenterà così nello studio del geometrismo strutturale, e poi in quello dei rapporti di elementi di materia e di colore interagenti nello spazio.
Quest’opera viene considerata dall’artista come appartenente al suo periodo di studio e di assimilazione del linguaggio compositivo astratto, come anche deducibile da colleganze con il precedente assunto bertiano di Composizioni-Espressioni.
Un’opera graficamente impostata su armonie di elementi, convergenti diagonalmente verso una linea orizzontale che taglia il dipinto lungo il primo terzo della sua altezza. Da tale base, lasciata neutramente in bianco ma solcata a sua volta da rette convergenti verso quella linea orizzontale, parte il contrappunto strutturale e cromatico verso gli altri due terzi superiori, il cui spazio viene scandito dall’intersecarsi dei vari “elementi costruttivi” dipinti in nero, articolati in variate aree di spessori e di raccordi su una doppia tonalità di rossi, le cui dosate susseguenze contribuiscono anche cromaticamente al ritmo compositivo dell’assieme.
Una partitura geometrico spaziale che Liberia Pini abbandonerà per una ricerca verso assunti di materica narrazione, che le permetteranno di esprimere le sue proprie peculiari qualità in una dinamica poesia del colore. Così scriverà Ugo Barlozzetti nel 1989 in un bilancio critico sulle “immagini dell’astrattismo”: “Il processo di formazione del linguaggio di Liberia Pini tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta, ha saputo recuperare quel mondo e quelle istanze che rappresentava, partecipandone con coerenza allo sviluppo. Soprattutto la tensione vibrante della costruzione ‘con rabbia di spazi’, coincide con un dinamismo che si affida a colori densi accordanti di volta in volta in gamme calde o fredde fino a giungere all’esaustione dello stesso cromatismo”.
L’opera è una delle tipiche espressioni costruttivo-dinamiche alla quale l’artista era approdata in quegli anni dopo la sua breve fase “geometrica’ e il successivo lavoro sulla sostanzialità della materia e del colore. Non più dunque libere partiture materiche dinamicamente articolate, elementi cromatici svincolati tra di loro, assonanze di colori libere d’intonare un loro canto. Tutto, nella fase ultima della Pini, dall’organizzazione della materia a quella del colore, appare secondo un ponderato ordine di elementi espressi in un serrato ma eppur dinamico fluire nello spazio.
Questa fase iniziata nei primi anni Settanta si riconosce per una sintetica scelta cromatica stabilita nei “non colori del bianco e del nero’, contrastati da un fondo intenso di verde – e più tardi di azzurro – esprimente fluide apparenze di forme-colore. Un ciclo a tutt’oggi attivo nelle sue varianti, il quale testimonia quel conquistato percorso autonomo felicemente compiuto da Liberia Pini.