Dal 1960 vive e lavora a Firenze dove si iscrive all’Accademia di Belle Arti frequentando i corsi di scultura tenuti da Giulio Pierucci e Antonio Berti, (legati da un intenso rapporto di collaborazione fino al 1969) e i corsi di due maestri dell’arte incisoria, Rodolfo Margheri (che ha mantenuto la docenza all’Accademia fino al 1967, anno della sua morte) e Giuseppe Viviani (titolare della cattedra dal 1956 al 1965). Viggiano si diploma nel 1964 e dal 1967, insegna Tecniche dell’Incisione all’Accademia di Belle Arti di Lecce, poi a quella di Carrara e dal 1972 ottiene la cattedra di Incisione all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Nelle stesso anno viene eletto Vice Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Firenze mantenendo l’incarico fino al 1983 quando, gli viene affidata la Direzione. È membro dell’Accademia delle Arti del Disegno; Presidente della sezione Artisti della Compagnia del Paiolo e Presidente del Gruppo Donatello. Dal 1983 al 1995 è consulente per la grafica alla Scuola Internazionale d’Arte Grafica Il Bisonte oltre ad essere, Presidente della Fondazione Antonio Berti per la Giovane Scultura Italiana. Personalità decisamente eclettica e poliedrica, Viggiano alterna alla docenza, un particolare percorso artistico, maturato nel contesto di molteplici esperienze che, caratterizzano i più alti livelli del panorama culturale fiorentino. Maestro nell’incisione e nella scultura, si è da sempre confrontato con le più diverse discipline come per esempio, oltre alla pittura, la fotografia (citiamo, Studi d’Artista omaggio a Antonio Berti, Oscar Gallo, Giannetto Mannucci, Giulio Pierucci, fotografie di Domenico Viggiano, Villa Renatico Martini, Monsummano Terme, 6-28 settembre 1997) e l’acquerello (citiamo, l’ultima mostra: R. Maestro e D. Viggiano, Galleria Gruppo Donatello, Firenze, 29 novembre 2000). Le opere di incisione di scultura e pittura di Domenico Viggiano sono presenti in numerose esposizioni: IX Quadriennale d’Arte, Roma, 1965; Primo Concorso Nazionale di Incisione, Piombino, 1967; Mostra Internazionale di Grafica, Vignola, 1968; Biennale Internazionale dell’Incisione, Taranto, 1970; Borsa di Studio Comune di Firenze per giovani artisti, Firenze, 1971; III Biennale Internazionale di Grafica d’Arte, Palazzo Strozzi, Firenze, 1972; Personale di Grafica, Galleria La Vernice, Bari, 1973; III Biennale dell’Incisione Italiana, Padova, 1979; Premio Ibla Mediterraneo Internazionale di pittura e grafica, Modica, 1979; Collettiva di Pittura Maestri contemporanei, Galleria Vittoria, Firenze, 1982; mostra delle incisioni: Dante in Vaticano. La divina Commedia nell’interpretazione degli artisti contemporanei, Roma, Città del Vaticano, 1985; Eventi dell’Arte, Marina di Carrara, 1986; Quinta Triennale d’Incisione, Milano, 1987; Materia e Forma, Villa di Poggio Reale, Comune di Rufina (Firenze), 1987; Bronzetti e Medaglie, Accademia delle Arti del Disegno, Firenze, 1989; XXVII Edizione Gruppo Donatello, Firenze, 1989.
Dal 1999 è presidente del comitato scientifico del Premio Internazionale Biennale d’Incisione città di Monsummano Terme (PT). Il 17 marzo 2011 ha inaugurato la scultura bronzea dedicata ai 150 anni dell’Unità d’Italia intitolata Costruzione di un pensiero e collocata in una nuova piazza di Monsummano Terme che ricorda l’evento storico anche nel nome.
Uno degli scultori più apprezzati da Domenico Viggiano è, indubbiamente, Oscar Gallo. Il rapporto di amicizia e reciproca stima che lega i due artisti, si consolida all’interno dell’Accademia di Belle Arti di Firenze quando Gallo, titolare della cattedra di Scultura dal 1963, chiede di essere sostituito, nel 1979, da Viggiano. Con la morte dello scultore veneziano, avvenuta il 13 novembre del 1994, Viggiano rivive attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, tutti gli anni della frequentazione del privatissimo studio che, come afferma la figlia, Anna Gallo Martucci, era il suo spazio privilegiato: “Suo significava gelosamente negato a tutti, compresi i familiari, a meno che non dovessero fare da modelli per il suo lavoro” (cfr. A. Gallo Martucci, Lo spazio di uno studio, in Studio d’artista: omaggio a Oscar Gallo, Firenze, 1995). La sensibilità di Viggiano, scultore e fotografo, penetra nello spazio fisico e interiore più segreto dell’artista, cogliendone l’intima essenza del lavoro di una vita. Attraverso l’immagine fotografica e la sua effettiva adesione al reale, blocca in un’istantanea gli oggetti più cari e personali di Gallo che, affiorano alla memoria di Viggiano come tracce indelebili e indimenticabili della presenza dello scultore. Ecco che lo studio, appare ora come un luogo svelato e riscoperto, nel quale ogni gesso, bronzo, o scultura in cera, trova una propria collocazione tra i mobili, gli attrezzi da lavoro, i quadri e i libri; ad ogni oggetto si accompagna una storia e un ricordo, legati, da oltre sessanta anni, a questo spazio vissuto da Oscar Gallo.
Tra il 1960 e il 1964, Domenico Viggiano frequenta lo studio di Giulio Pierucci diventando un suo allievo. Personalità alquanto riservata quella dello scultore pratese che, inizia a dipingere con il maestro Guido Dolci, Pierucci si lega, in seguito, ad una particolare realtà culturale il cui nucleo, costituito da giovani artisti e letterati, nasce negli anni Trenta a Prato. Dal 1940 al 1969 nasce un’importante collaborazione con lo scultore Antonio Berti con il quale condivide un periodo d’insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Firenze. In questo contesto va inserita la prima formazione di Viggiano il quale recepisce, oltre alla lezione di Pierucci, anche l’esperienza umana di un artista che di frequente, appare segnato dall’isolamento e dal peso delle difficoltà. In un testo di Alessandro Parronchi, realizzato per il catalogo della mostra personale di Pierucci organizzata nel 1976 alla Galleria Falsetti di Prato, c’è una frase che coglie efficacemente questo particolare periodo di smarrimento e di emarginazione dell’artista: “[…] dal ’37 al ’42 aveva lavorato come aiuto scenografo al Teatro Comunale, e forse quel lavoro relativo al teatro gli aveva fatto intravedere una via d’uscita. E soprattutto a un certo punto è la fiducia di un amico, Pietro Tinu, a dargli una spinta, a imporgli di ricominciare” (cfr. A. Parronchi, Giulio Pierucci, Prato 1976-1977). A testimonianza di questa fase rigenerativa, Viggiano realizza nella metà degli anni Settanta, una serie di scatti in cui documenta la nuova Galleria dei Ritratti di Pierucci. Lo studio dello scultore si popola di interlocutori, figure che costituiscono un vasto campionario del genere umano nella sua più cruda realtà; a rafforzare la loro veridicità, i personaggi vengono truccati e vestiti, come nel caso di Anna che Viggiano, sorprende in una foto, in cui lo sguardo pensieroso della donna ci appare contemplativo e lontano.
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“Una volta uno scultore inglese in visita al suo studio gli consiglia di colorare le sue sculture. È un lampo, un’illuminazione di quelle che solo un’artista può dare. Chi era quello scultore? Pierucci non ne ricorda il nome. Ha detto che scriverà in Inghilterra per vedere di ritrovarlo” (cfr. A. Parronchi, Giulio Pierucci, cit.). Il pugile rientra nella serie della Galleria dei Ritratti di Giulio Pierucci; ancora una volta lo scultore si avvale del colore per evidenziare le connotazioni specifiche del soggetto anche se, in questo caso, la figura dai tratti estremamente forti, più simile ad un ominide preistorico, si contrappone alla grazia e alla modernità riscontrabili in Anna.
La foto di Domenico Viggiano non tende ad isolare o a prediligere la figura del pugile, sta allo spettatore individuarlo nel caos dello studio; se nell’immagine precedente, Anna (Studio di Giulio Pierucci), l’attenzione è concentra sul primo piano del busto della donna e sull’intensità del suo sguardo, ora, il fotografo allarga il campo, restituendo una visione d’insieme che addirittura, mette in secondo piano il soggetto principale. Alla ieraticità del pugile, che sorveglia come un guardiano l’entrata dello studio, viene accostato un microcosmo popolato da una folla di personaggi che si scorgono stipati sugli scaffali e sui tavoli.
Negli anni Sessanta, Domenico Viggiano è un allievo dell’Acca-demia di Belle Arti di Firenze, dove segue i corsi d’incisione di Rodolfo Margheri e Giuseppe Viviani. Per l’artista è fondamentale l’insegnamento di Margheri che, pur muovendosi nell’ambito accademico si apre, dal dopoguerra, alle più diverse esperienze artistiche internazionali, da Cézanne a Wols, in un continuo tentativo di rinnovamento del proprio linguaggio. Dal 1960, Margheri diventa direttore della stamperia de Il Bisonte nella quale, mette al servizio di grandi personaggi dell’arte contemporanea, le tecniche dell’antico mestiere, creando un luogo di ricerca e sperimentazione tra i più vitali di quegli anni. Tra l’Accademia e Il Bisonte nasce un rapporto fatto di scambi continui che si protrae nel tempo coinvolgendo direttamente anche Viggiano, nominato nel 1983 consulente per la grafica della Scuola Internazionale del Bisonte. Da sempre impegnato su diversi fronti, l’artista lavora principalmente con la scultura e l’incisione, discipline con le quali, sviluppa un confronto e una sperimentazione particolarmente forti; come afferma Roberto Maestro parlando del rapporto di amicizia che lo lega a Viggiano: “Da parte mia ritengo Domenico Viggiano un ottimo incisore, ma lui si ritiene uno scultore” (cfr. R. Maestro, Rapporto su di un’amicizia, Firenze 2000). In Interno con ombre, del 1974, ciò che sembra palesato è un dualismo e una compresenza di tradizione e rinnovamento: la prima, si fonda sulla coscienza che i mezzi tecnici e l’idea di un preciso mestiere sono rimasti gli stessi il secondo, si alimenta dei grandi stravolgimenti culturali e stilistici che, dalle Avanguardie Storiche in poi, hanno caratterizzato l’arte del ventesimo secolo.
Si tratta di un’incisione ad acquaforte realizzata da Domenico Viggiano alla fine degli anni Settanta. Il lavoro presenta evidenti similitudini compositive con l’opera Interno con ombra del 1974, in entrambe prevale un attento accostamento tra bianchi, neri e grigi. Attraverso un uso nervoso dei segni e delle morsure, l’artista sperimenta una struttura dinamica in cui l’astrazione delle forme ha preso il sopravvento. Nella costante ricerca di un proprio linguaggio, Viggiano sembra ora concentrarsi sulla luce; l’occhio esperto dell’artista che è anche scultore e fotografo, riesce a cogliere e a fissare nitidamente le rifrazioni luminose, i giochi di ombre e penombre che creano un intrigo grafico nel quale, si percepisce ancora uno spazio tridimensionale.
Domenico Viggiano, professore d’incisione per oltre quaranta anni della sua vita, ha donato alla collezione Il Renatico una splendida acquaforte del suo periodo giovanile. E’ innegabile l’attualità dell’opera, datata 1964, che mostra una composizione articolata, complessa, originale, costruita con un elaborato “universo di segni” realizzati da un artista alla continua ricerca di una comunicazione che rispecchi la forma del proprio pensiero. I suoi Amanti, tema ricorrente nella produzione artistica di Viggiano, nascono da un percorso creativo costellato di varianti, dove le figure si fondono in una musicalità di accordi geometrici, che manifestano una inconfondibile identità. Motivi circolari con campiture a effetto pioggia, curvilinee in proiezione dinamica, tasselli e inserti monocromatici che si manifestano con varie sfumature, un andare e venire nello spazio cadenzando tempi e movimenti, scomponendo e ricomponendo infiniti punti di fuga che narrano il trasporto incontrollabile della passione che ha travolto in maniera inarrestabile i due amanti. Descrizione della fisicità del piacere o del momento dell’ estasi celebrale? Molte delle coppie che Viggiano realizza con le diverse tecniche artistiche con le quali gioca quando crea le sue opere nascono dalla fisicità di ciò che sensibilmente osserva e recepisce. E’ evidente che nel corso del tempo i ripensamenti lo spingono a tornare sul suo lavoro e a rivederlo portando i suoi personaggi a perdere di riconoscibilità fisica, in favore di una metamorfosi che punta sul movimento, sulla luce, sul cromatismo. Le emozioni non sono sempre riconducibili a forme esistenti in natura, e Viggiano ha scoperto nel corso degli anni che sperimentando la duttilità delle tecniche grafiche, degli strumenti sempre diversi, delle morsure e delle coperture ripetute, delle rifiniture a punta metallica, è possibile individuare i mezzi e i segni per descrivere la sua poetica basata sul flusso delle sensazioni, sulle inquietudini, sui turbamenti che colpiscono il profondo dell’animo e lo stravolgono senza preavviso.