Laureato in Lingua e Letteratura Inglese, risiede dalla metà degli anni Cinquanta, tra Londra, Parigi, Berlino e New York dove inizia a dipingere entrando in contatto con l’ambiente artistico Informale. Particolarmente attratto dal lavoro di Jackson Pollock, Lattanzi approfondisce il rapporto che intercorre tra “gesto”, inteso come atto puro e semplice, tipico dell’Action Painting americana e, la “materia”, quale mezzo espressivo privilegiato dell’Informale europeo. Nel gesto e nella materia, l’artista individua gli elementi essenziali dell’ornamento dal quale elabora un tipo di pittura che lui definisce Semantica, ossia, un’organizzazione non gerarchica di parti necessarie e interagenti nella cui dinamica interna, ogni elemento, gesto, segno e macchia di colore, non è inferiore o superiore all’altro. Da questi principi Lattanzi redige nel 1957 a Londra, Manifest of Semantic Painting e nel 1961 a Francoforte, il Secondo Manifesto Semantico in collaborazione con Werner Schreib. In seguito, pubblica Annotazioni sulla Pittura Semantica, (Siena, Ed. Maia, 1961), La Peinture Sémantique (Parigi, Ed. Le Prat, 1962) alternando ai testi teorici, una serie di mostre personali, tra le quali citiamo: New Vision Gallery, Londra, 1957; Galleria Numero, Firenze, 1957; Galérie Fürstemberg, Parigi, 1958; Galleria Prisma, Milano, 1959; University Gallery, Minneapolis (USA), 1960; Drian Gallery, Londra, 1961; Galerie Brusberg, Hannover, 1962; Galleria del Cavallino, Venezia, 1963; Galerie Sydow, Francoforte, 1964; Galérie Le Gendre, Parigi, 1965; Galerie Brusberg, Hannover, 1966; Galérie Falchetti, Parigi, 1967. Negli stessi anni è impegnato in numerose collettive: Mostra Arte Toscana, Firenze, 1959; Mostra Nazionale, La Spezia, 1960; Internationale Malerei, Wolframs-Escenbach, 1961; Pittura Contemporanea, Milano, 1962; L’Art et l’Écriture, Stedelijk Museum, Amsterdan e Staatliche Kunstalle, Baden-Baden, 1963; XXXII Biennale di Venezia, Venezia, 1964; Biennale Internazionale de La Gravure, Lubiana, 1965; Salon D’Automme, Parigi, 1966; Werke der 1° Internationalen Malerwochen auf Schloss Retzhof bei Leibnitz, Graz, 1966; Figuration Critique 1989, Grand Palais, Parigi - Palazzo Lanfranchi, Pisa, 1989. Negli anni Settanta e Ottanta, l’artista sviluppa ulteriormente la tematica ornamentale alla quale, si uniscono da una parte, elementi mistico-simbolici vicini allo stile del pittore Werner Schreib e dall’altra, la volontà di dominio intellettuale sulla forma che è propria di Robert Estivals e dello Schematismo.
Le sue opere sono esposte nei seguenti musei: Landes Museum Hannover; Museum Univerity of Minnesota; Kastner Gesellschaft Hannover; Museum Leverkusen; Museo della Grafica, Milano; Landes Museum Joanneum, Graz; Museo Civico, Torino.
“La Pittura Semantica di Lattanzi nasce dalle zolle rigenerate dall’aratro dell’Action Painting, di cui il pittore di Carrara recupera il gesto di base per altri fini espressivi” (cfr. G. Di Genova, Storia dell’Arte Italiana del ’900. Generazione anni Venti, vol. 4., Bologna 1991, p. 175).Questo genere di pittura, teorizzato all’inizio degli anni Sessanta da Luciano Lattanzi e Werner Schreib, prende atto della crisi storica del linguaggio artistico informale e, muovendosi da questa constatazione, ricerca un tipo di comunicazione nuova che si abbandona all’impulso dell’inconscio, da cui riemergono frammenti di varia natura, prevalentemente segnica. Will Grohmann, nel riferire del primo incontro avvenuto tra i due artisti, afferma: “Schreib aveva fatto a Londra la conoscenza del Lattanzi (che ha la sua stessa età), col quale aveva constatato una grande parentela di linguaggio espressivo. Entrambi definiscono il loro indirizzo Pittura Semantica. In effetti è il Lattanzi che ha trovato il termine […]” (cfr. W. Grohmann, in Lattanzi e Schreib, Roma 1964, p. 23). In questi primi anni di elaborazioni teoriche, il lavoro dell’artista toscano è già impostato su uno spiccato decorativismo che, si traduce in trascrizioni personali basate, su una serie di segni, che lui volutamente chiama “gesti base”, caratterizzati da un grafismo sottile e meticoloso, atti a manifestare la presenza fisica e sensibile dell’autore. In Immagini Semantiche, un’opera grafica del 1961, lo spazio si divide in quattro settori ognuno dei quali, custodisce una forma intima scaturita da un vero e proprio automatismo psichico di derivazione surrealista. Le immagini, chiuse in una linea di contorno, sono il frutto di una creazione impulsiva riemersa dalla “base razionale dell’inconscio” (come la definisce Lattanzi), nella quale, vengono trattenuti tutti quei segni e gesti che appartengono all’universo umano. S.B.
Il senso decorativo di Luciano Lattanzi è ancor più evidente nelle acqueforti. In Configura-zione Semantica del 1978, lo spazio dell’opera viene saturato da un’agglomerazione di elementi estrapolati da un vasto repertorio iconografico: segni liberi, moduli quadrati, linee orizzontali e verticali, zig-zag, spirali, curve, cerchi, ruote e velature cromatiche tra l’ocra e il rame. Will Grohmann, analizzando questi lavori, scopre nelle forme-immagini di Lattanzi, un gusto bizantino; Giorgio Di Genova, riscontra invece, nelle variazioni dell’ornamento, un’attinenza con le stoffe orientali. Ma è l’osservazione di Gerard Gassiot-Talbot, a chiarire, al di là delle similitudini, le dinamiche interne dalle quali scaturisce un’opera semantica: “La combinazione dei gesti di base anche se giunge a erigere strani edifici in cui si possono spigolare movenze barocche o iconografie fantastiche, non procede mai per volontà organizzatrice lucida, ma piuttosto per connessione automatica, specie di secrezione, o perpetua tessitura” (cfr. G. Gassiot-Talbot, in Lattanzi e Schreib, Roma 1964, p. 22). Dunque, al Semantismo, almeno nelle sue prime teorizzazioni, corrisponde una costruzione grafica che si basa su un’esplorazione segnica dell’inconscio, quindi “[…] anche le produzioni ornamentali non sono altro che equivalenti grafici di precisi contenuti e significati dell’inconscio” (cfr. M. Costa, Ornamento e Arte Con-temporanea, in Dall’Estetica dell’Ornamento alla Computerart, Napoli 2000, p. 122). S.B.