Siciliano di nascita, ma a tutti gli effetti toscano riguardo alla sua formazione artistica, dal momento che nel 1934 si trasferisce con la famiglia a Livorno, dove trascorre l’infanzia e la giovinezza, Elio Marchegiani inizia a dipingere da bambino, per poi coltivare questa sua passione come autodidatta, senza frequentare scuole o accademie d’arte. Su sollecitazione della famiglia compie infatti gli studi classici, per poi iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa.
Quando dopo la morte del padre, nel 1951, è costretto a trovare un lavoro, inizia ad operare nel campo della pubblicità, avendo così agio di far convivere lavoro e attività artistica, almeno fino al 1970 allorché assume la cattedra di pittura all’Accademia di Belle Arti di Urbino, dove dal 1983 al 1988 sarà anche direttore.
Sin dall’inizio il suo fare artistico è sempre intessuto di una costante tensione ironico-trasgressiva, che sfocia talvolta nell’happening provocatorio, come nel caso di 9000 mosche vive del 1969.
La sua prima personale è stata allestita alla Galleria Giraldi di Livorno nel 1958 mentre all’anno successivo risale la sua partecipazione all’Ottava Quadriennale di Roma. Negli anni Sessanta partecipa all’esperienza fiorentina del Gruppo 70, realizzando nel contempo importanti mostre personali, come quella del 1966 alla Galleria Apollinaire di Milano e quella del 1967 all’Obelisco di Roma.
Da allora ha allestito decine di mostre personali e ha al suo attivo numerose partecipazioni a rassegna nazionali ed internazionali, fra le quali le Biennali di Venezia del 1968, 1972 e 1986.
Prendendo le mosse da suggestioni di tipo informale, ha indirizzato il suo lavoro sempre più verso ambiti di ricerca sperimentale. Pur avendo come riferimento alcune esperienze artistiche del Novecento, la velocità del movimento di Balla, le provocazioni di Duchamp, lo spazialismo di Fontana, il suo interesse si è concentrato soprattutto sui legami fra scienza e sviluppo dell’immagine, la cui oggettiva e materiale consistenza è a ben vedere la base di tutto il suo lavoro. Nei mesi di luglio, agosto, settembre del 2010 la mostra antologica alla Torre di Guevara di Ischia con presentazione in catalogo di Massimo Bignardi, edito da Le Rive di Cartaromana.Nel gennaio 2012 la Galleria Allegra Ravizza Art Project allestisce la prima esposizione di opere storiche a partire da un progetto del 1971 “La cultura è energia”, una mostra in 5 azioni tenutasi alla Galleria Apollinaire di Milano con Pierre Restany. La cura è di Marco Meneguzzo che in un’intervista televisiva dice: “Marchegiani è il futuro fatto in casa”. AllaGalleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, nel marzo 2012, partecipa con l’opera “Helios” 1966, ad “Arte Cinetica e programmata” a cura di Giovanni Granzotto e Mariastella Margozzi. Dalla fine del secolo ad oggi, la sua attività è rivolta ad opere tridimensionali ed ambientali, ed al suo “Fare per pensare” dedito a un’attenzione al mondo esterno, nella costante convinzione che l’artista debba raccontare anche la propria epoca.
Per “grammatura” Elio Marchegiani intende la distillazione del colore, la sua alitazione sulla superficie del dipinto, dove cresce per passi minimali, perfezionandosi nell’attenzione alla resa qualitativa della realizzazione, come sempre irrinunciabile nelle sue opere. È anzi in questo tipo di opere che emerge maggiormente la cura con cui l’artista provvede all’atto creativo, che per lui è un momento di esercizio concettuale importante, pari al momento germinativo dell’idea.
L’idea infatti non può essere abbandonata a se stessa, e l’artista deve essere fino in fondo anche artefice, non rinunciando all’intervento diretto in tutte le fasi della gestazione, fino al completamento dell’opera, senza accontentarsi del concepimento, per quanto suggestivo e folgorante possa essere stato.
“Fare per far pensare” è infatti il motto di Marchegiani, che anche nelle “Grammature di colore”, mentre rinuncia al movimento, rimane convinto dell’assoluta necessità del progetto, che qui è soprattutto rispetto della misura, equilibrio compositivo, preciso controllo dello slittamento di colore nella grammatura. Si tratta di affrancare i segni di un nuovo alfabeto della pittura, per aspirare ad una sintesi estrema della geometria rinascimentale e riaffermare la sua idea di progettualità, che concepisce lo sviluppo del pensiero in termini di pratica e fattiva realizzazione dell’opera.
È un’intenzione assai precoce nel lavoro di Marchegiani, se già nel 1967 Maurizio Fagiolo Dell’Arco notava come l’artista avesse “saputo arricchire all’infinito la tecnica dell’immaginazione fino a dare corpo ad un’immagine della tecnica”.
Dopo il periodo giovanile, caratterizzato da una solida pittura informale, è proprio nel corso degli anni Sessanta che l’artista comincia ad evidenziare l’importanza della superficie dell’opera, come luogo-vetrina dove dare corpo alle sue ironiche provocazioni.
Prima la ricerca sulla luce e l’idea della “tecnologia come poesia”, poi l’allestimento di articolate ambientazioni, come Le Mosche con Giorgio Celli e Cultura è Energia con Pierre Restany, che al passaggio fra anni Sessanta e Settanta aprono il lavoro di Marchegiani a quella completa sottomissione della materia alle esigenze dell’idea, che sfocerà nelle “Gomme”, nelle “Pergamene”, negli “Specchi di pelle” ed infine nelle “Grammature”, che sono il punto d’approdo, anche simbolico, della sua ricerca intorno al supporto, con risultati che faranno dire a Gillo Dorfles che a “Marchegiani basta il supporto per fare l’opera”.
Se così la ricerca e la sperimentazione, come metodo irrinunciabile di lavoro, avevano prodotto all’inizio degli anni Settanta esperienze di grande inventiva e di elaborata esecuzione, ora si concentrano piuttosto sulla qualità dei materiali, sulla loro deperibilità, sulla duttilità delle gomme, fino alla scoperta delle preziose suggestioni delle lavagne e degli intonaci, destinate ad accogliere le “Grammature”, che possiamo considerare un compendio della sua ricerca, sullo spazio, il tempo, il movimento bloccato della linea, le vibrazioni musicali del colore. M.B.
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