Mac,n - Museo di arte Contemporanea e del '900

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Valerio Gelli

Pistoia, 1932


Il rapporto con l’arte inizia durante l’infanzia in modo fortuito, quasi segnato dal destino, come lui stesso racconta (l’episodio è citato nel saggio di P.F. Iacuzzi, Il segno dell’uomo e il sogno della materia, in AA.VV., Gelli, la scultura e la grafica dal 1949 al 1987 (catalogo della mostra), Pistoia, Edizioni Comune di Pistoia, 1988, p. 17): all’età di undici anni, il nonno gli regala un libro, scampato miracolosamente alle macerie di un bombardamento, si tratta di un testo per bambini di Giuseppe Fanciulli dal titolo La novella di Giotto. Le linee sicure e ferme di quelle immagini, (l’artista ricorda la forte impressione che suscitava in lui la faccia di Giuda, nella scena della cattura di Cristo, alla Cappella degli Scrovegni) suggestionano la sua fantasia e favoriscano la nascita dei primi interessi per un linguaggio artistico. Al di là di questo episodio, la passione per l’arte nasce presto nell’animo di Gelli, tant’è che nell’immediato dopoguerra lo troviamo iscritto alla Scuola d’Arte pistoiese, allievo di Corrado Zanzotto, dove ha come compagni Alfio del Serra, Mirando Jacomelli, Sigfrido Bartolini. Continua poi gli studi artistici frequentando la Scuola Libera del Nudo, all’Accademia di Belle Arti di Firenze, con il Maestro Giorgio Settala, mentre Rodolfo Margheri lo avvia alla tecnica dell’acquaforte e della puntasecca. A Firenze ha contatti con Primo Conti, Ottone Rosai, Oscar Gallo, Quinto Martini.

In questi anni di apprendimento disegna molto, perché come lui dice: “Il disegno è specchio e anima dell’artista, uno strumento immediato e inseparabile della scultura”. (P.F. Iacuzzi, Il segno dell’uomo e il sogno della materia, in AA.VV., Gelli, la scultura e la grafica dal 1949 al 1987 (catalogo della mostra), Pistoia, Edizioni Comune di Pistoia, 1988, p. 17).

Nelle prime sculture, tra gli anni Quaranta e Cinquanta ci sono moltissimi ritratti, gente umile senza storia, come si potevano trovare nelle campagne. Sono volti ricchi di dettagli descrittivi, dove il dato realistico è messo in evidenza nelle forti espressioni dei personaggi (Contadina, 1950, terracotta; Ritratto della nonna 1952, bronzo; Ritratto del nonno 1955, bronzo; Madre che allatta 1956, gesso). Con il passare degli anni le ingerenze del vero, si fanno sempre più fievoli per lasciare spazio ad una maggior interiorizzazione dell’immagine, in direzione di una poetica più intimista.

Tra il 1950 e il 1953, si dedica all’arte della ceramica con Corrado Zanzotto e Jorio Vivarelli. In ceramica realizza le quattordici stazioni della Via Crucis, per la Chiesa in Collina di Giovanni Michelucci con il quale stringe una intensa amicizia.

Negli anni Sessanta-Settanta si apre una nuova fase della ricerca, le figure vedono una semplificazione formale, nell’individuazione di un gioco di pieni e di vuoti, segnati da geometrie che egli definisce nell’immaginare la forma. I loro dialoghi stabiliscono una metrica complessa, in nome di una nuova ricerca dinamica. Le superfici non levigate diventano occasione di vibrazioni luminose (Piccolo nudo sdraiato 1959, terracotta; Il bagno 1963, terracotta; Madre gioco 1964, terracotta; Il bacio 1965, bronzo).

L’attenzione di questi anni va in direzione di Marino Marini, di cui è amico (l’amicizia con Marino passa attraverso l’amicizia con la sorella Egle), di Henry Matisse, verso “la paziente ricerca della forma pura di Brancusi, o alla forma di Moore che oltrepassa la scultura attraverso una plasmazione del vuoto” (P.F. Iacuzzi, Il segno dell’uomo e il sogno della materia, in AA.VV., Gelli, la scultura e la grafica dal 1949 al 1987 (catalogo della mostra), Pistoia, Edizioni Comune di Pistoia, 1988, p. 20).

Nel 1954, diviene assistente alla cattedra di disegno al Liceo Scientifico di Pistoia.

La fine degli anni Settanta e gli Ottanta, sono scanditi dai ritratti di Erminia, la compagna dell’artista dal 1970. Il ritratto diviene un’icona, “Nel primo ritratto di Erminia (1978) sembra recuperare l’austerità di una Nefertiti egizia … I ritratti femminili sono variazioni infinite di uno stesso archetipo muliebre-materno, sfingi o gioconde leonardesche che sembrano quasi rispondere ad un ideale di bellezza medusea” (P.F. Iacuzzi, Il segno dell’uomo e il sogno della materia, in AA.VV., Gelli, la scultura e la grafica dal 1949 al 1987 (catalogo della mostra), Pistoia, Edizioni Comune di Pistoia, 1988, p. 21).

“Un arcaico stupore” già presente nelle opere giovanili, filtrato attraverso il vero, consente di raccogliere da sempre le ancestrali suggestioni dell’arte di Valerio Gelli. L’artista continua il suo lavoro, attento alle evoluzioni della scultura contemporanea, nello studio di Via San Pietro, nella casa che un tempo fu di Marino Marini: un altro episodio voluto dal destino, che ancora una volta sembra segnare la vicenda artistica dell’artista.

Le opere di Valerio Gelli si trovano in collezioni private italiane ed estere. Inoltre presso il Museo Civico di Pistoia, alla Cassa di Risparmio di Pistoia, al Camposanto di San Michele Agliana (Pistoia), all’Asilo Il Glicine, Agliana (Pistoia), nella sede della Provincia di Pistoia.

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