Yorgos Giotsas ha frequentato l' Accademia di Belle Arti in Grecia nonché la facoltà di disegno grafico all' Università di Hertfordshire in Inghilterra. Ha vissuto a Londra, a Istanbul ed ad Atene.
“Un istallazione - ricordo di memoria - che tratta i luoghi di sofferenza ed il trasloco forzato che in un certo momento della vita abbiamo dovuto affrontare tutti noi, ognuno in modo diverso, superando i limiti posti dai confini umani.
Valigie di ferro - residui di cemento -vecchi passaporti nonché documentazioni fotografiche trattate con un metodo di incisione virtuale, costituiscono un archivio di ricordi, registrato nella memoria in modo pieno ed assoluto.
L' uso di materiali rigidi come il cemento e il ferro mettono in evidenza il concetto del trasloco forzato subito e non scelto da ogni migrante, il continuo viaggio da un luogo a un altro, fino a giungere in una terra, la terra dove dimenticare i luoghi della sofferenza e costruire il proprio futuro”.
Questo in sintesi il significato di ciò che Giorgio Giotsas vuole trasmettere con la sua istallazione, (scritto e inviato per e mail). Poche parole, come quelle presenti nella sua biografia, accenni ai suoi viaggi delineati e portati alla memoria solo dalle sue esposizioni, dagli eventi che lo hanno visto partecipare con grande soddisfazione ed enfasi perché ha molto da comunicare e vuole farlo attraverso i suoi lavori. Le sue opere ci raccontano i suoi spostamenti, repentini e continui. La prima volta che ho incontrato Giotsas aveva con sé un valigia di cemento, era tranquillo, anzi è sempre tranquillo, parla con tono pacato, ma quanto pesava quel bagaglio. Più conoscevo il suo lavoro e più mi rendevo conto che l’elemento valigia era sempre presente nella sua vita, cambiavano le decorazioni, gli interni, i materiali che la componevano o che la riempivano, ma quella struttura così caratterizzante si identificava con lui. I suoi cementi erano tristi, seri, crudi, gravi, fermi, risoluti, Giotsas aveva qualcosa da dire, ma non era solo la documentazione di un momento storico difficile, era un suo stato d’animo che riusciva a mascherare ovunque, ma non nel suo lavoro. Non conosco i dettagli, ma a primavera il suo malessere si è assopito e le sue valige sono diventati prati fioriti che riempivano l’aria dei profumi e dei colori della sua isola … e il viaggio continua.
Giotsas non fugge, anzi vive il viaggio come un continuo momento di apprendimento: impara lingue nuove, incontra gente con cultura, tradizioni, religione, differenti dalla sua, si sofferma a studiare tutto ciò che lo circonda e non perde occasione per rendersi disponibile alla comunicazione anche con famiglie e bambini. Gli piace giocare e recupera l’aspetto ludico del suo lavoro in quei momenti di sosta. L’istallazione presentata al Mac,n traduce per immagini il viaggio di tanti migranti confusi tra la disperazione per il naufragio e la gioia di aver raggiunto una terra ospitale, tra la speranza di avere un futuro e la nostalgia di avere abbandonato il proprio passato, tra la certezza di avercela fatta e il ricordo di chi invece non c’è più. Molte persone hanno perso la propria identità, poche tracce del loro significativo percorso, frammenti di povere imbarcazioni distrutte, fotografie e documenti sbiaditi, immagini irriconoscibili di bambini alla ricerca di un salvagente al quale aggrapparsi: Giotsas non denuncia, non grida, si affianca ai reduci e con grande rispetto per la loro avventura, forse solo appena iniziata, prepara la sua “ennesima valigia” e parte per un altro viaggio, un viaggio nella realtà e nella consapevolezza che il suo “mestiere” d’artista continuerà ad essere tale fino a quando avrà qualcosa da dire per mezzo di un linguaggio universale col quale raggiungere il cuore della gente.
“Un istallazione - ricordo di memoria - che tratta i luoghi di sofferenza ed il trasloco forzato che in un certo momento della vita abbiamo dovuto affrontare tutti noi, ognuno in modo diverso, superando i limiti posti dai confini umani.
Valigie di ferro - residui di cemento -vecchi passaporti nonché documentazioni fotografiche trattate con un metodo di incisione virtuale, costituiscono un archivio di ricordi, registrato nella memoria in modo pieno ed assoluto.
L' uso di materiali rigidi come il cemento e il ferro mettono in evidenza il concetto del trasloco forzato subito e non scelto da ogni migrante, il continuo viaggio da un luogo a un altro, fino a giungere in una terra, la terra dove dimenticare i luoghi della sofferenza e costruire il proprio futuro”.
Questo in sintesi il significato di ciò che Giorgio Giotsas vuole trasmettere con la sua istallazione, (scritto e inviato per e mail). Poche parole, come quelle presenti nella sua biografia, accenni ai suoi viaggi delineati e portati alla memoria solo dalle sue esposizioni, dagli eventi che lo hanno visto partecipare con grande soddisfazione ed enfasi perché ha molto da comunicare e vuole farlo attraverso i suoi lavori. Le sue opere ci raccontano i suoi spostamenti, repentini e continui. La prima volta che ho incontrato Giotsas aveva con sé un valigia di cemento, era tranquillo, anzi è sempre tranquillo, parla con tono pacato, ma quanto pesava quel bagaglio. Più conoscevo il suo lavoro e più mi rendevo conto che l’elemento valigia era sempre presente nella sua vita, cambiavano le decorazioni, gli interni, i materiali che la componevano o che la riempivano, ma quella struttura così caratterizzante si identificava con lui. I suoi cementi erano tristi, seri, crudi, gravi, fermi, risoluti, Giotsas aveva qualcosa da dire, ma non era solo la documentazione di un momento storico difficile, era un suo stato d’animo che riusciva a mascherare ovunque, ma non nel suo lavoro. Non conosco i dettagli, ma a primavera il suo malessere si è assopito e le sue valige sono diventati prati fioriti che riempivano l’aria dei profumi e dei colori della sua isola … e il viaggio continua.
Giotsas non fugge, anzi vive il viaggio come un continuo momento di apprendimento: impara lingue nuove, incontra gente con cultura, tradizioni, religione, differenti dalla sua, si sofferma a studiare tutto ciò che lo circonda e non perde occasione per rendersi disponibile alla comunicazione anche con famiglie e bambini. Gli piace giocare e recupera l’aspetto ludico del suo lavoro in quei momenti di sosta. L’istallazione presentata al Mac,n traduce per immagini il viaggio di tanti migranti confusi tra la disperazione per il naufragio e la gioia di aver raggiunto una terra ospitale, tra la speranza di avere un futuro e la nostalgia di avere abbandonato il proprio passato, tra la certezza di avercela fatta e il ricordo di chi invece non c’è più. Molte persone hanno perso la propria identità, poche tracce del loro significativo percorso, frammenti di povere imbarcazioni distrutte, fotografie e documenti sbiaditi, immagini irriconoscibili di bambini alla ricerca di un salvagente al quale aggrapparsi: Giotsas non denuncia, non grida, si affianca ai reduci e con grande rispetto per la loro avventura, forse solo appena iniziata, prepara la sua “ennesima valigia” e parte per un altro viaggio, un viaggio nella realtà e nella consapevolezza che il suo “mestiere” d’artista continuerà ad essere tale fino a quando avrà qualcosa da dire per mezzo di un linguaggio universale col quale raggiungere il cuore della gente.