Vive a lungo in collegio e poi compie studi umanistici in seminario dove si appassiona alla filosofia greca e alla letteratura latina, studia musica e organo con Domenico Bartolucci fino all’avvento della guerra quando, abbandonato il seminario, si da alla macchia tra i partigiani. Intanto anche i suoi interessi filosofici, grazie ai corsi di Giulio Preti, vengono stimolati e rigenerati dalle teorie di Hegel e la sinistra hegeliana, Marx e Dewey; si laurea in Pedagogia con Lamberto Borghi pubblicando diverse opere di saggistica e poesia. Inizia un periodo di militanza letteraria che lo porta a collaborare con riviste come “Quartiere” e “Letteratura” e alle rubriche “Protocolli” e “Dopotutto” pubblicando studi semiologici sul linguaggio della poesia; nel 1961 vince il premio di poesia Città di Firenze. Questo riconoscimento lo spinge ad intensificare rapporti e confronti critici con grandi letterati fiorentini come Mario Luzi e Carlo Betocchi e con Romano Bilenchi che lo raccomanda ad Elio Vittorini il quale, gli pubblica sulla rivista “Il Menabò”, i Tre poemetti.
Ma è dal 1962 che le sue iniziali prove di poesia lineare lasciano il posto alle prime sperimentazioni di Poesia Visiva nella quale, Miccini riesce a trovare la vera contaminazione tra codici espressive diversi che erano stati tipici delle esperienze avanguardistiche del primo Novecento come Futurismo, Dadaismo e Surrealismo. Nel 1963, dopo aver partecipato all’organizzazione Gruppo 63, fonda insieme a Lamberto Pignotti e Luciano Ori, il Gruppo 70, dando inizio all’esperienza della poesia visiva, termine che viene adottato da tutti coloro che si accostano a tale genere, con i quali Miccini, intraprende un fervido e produttivo periodo di incontri, spettacoli, mostre e pubblicazioni, ricordiamo in particolare, le Poesie Visive che appaiono nell’Antologia di Poesia Visiva curata da Lamberto Pignotti. Nel 1969 fonda, sempre a Firenze, il Centro Téchne, dirigendone la rivista omonima ed i relativi Quaderni dedicati oltre che alla Poesia Visiva, anche al dibattito culturale e politico di quei difficili anni. È in questo particolare clima agitato da continue tensioni e scontri politico-ideologici, che l’attivismo di Miccini si apre su più fronti: oltre ad occuparsi del Gruppo Internazionale di Poesia Visiva e a dirigere con Sarenco la rivista “Lotta Poetica”, si impegna anche nell’attività didattica, infatti, viene incaricato come cultore di Discipline Semiotiche presso la Facoltà di Architettura di Firenze ed insegna Storia dell’Arte nelle Accademie di Belle Arti di Verona e Ravenna. Nel 1972 viene invitato alla XXVI Biennale di Venezia, Il libro come luogo di ricerca, nell’ambito di una mostra sui libri d’artista, curata da Renato Barilli e Daniela Palazzoli. Dal 1973 iniziano le collaborazioni alle attività artistiche e culturali dello Studio D’Arte Il Moro di Firenze con presentazioni di mostre e libri come, Crhoma e geometria (opere di C. Cioni, R. Guarnieri e V. Tolu) del 2 febbraio 1974 e l’edizione del volume Arte Contemporanea e discriminazione assiologica, a cura di E. Miccini del 1975. Nel 1980, è nuovamente alla XXXIX Biennale di Venezia, nella rassegna Il tempo del museo. Nel 1983 fonda il Gruppo Logomotives con Arias-Misson, Blaine, Bory, De Vree, Sarenco e Verdi. Dal 1984 si occupa anche dei linguaggi del cinema e della fotografia. Nell’86 oltre a partecipare alla XLII Biennale di Venezia, Arte e scienza, è invitato come commissario per la sezione Poesia Visiva alla XI Quadriennale di Roma a Palazzo dei Congressi, nonché, in numerose mostre internazionali come al MOMA di New York, allo Stedelijk Museum di Amsterdam, al Museo BWA di Lublino, alla Galleria Nazionale di Varsavia, a Valencia, Anversa ed altri. Risale al 1993 la quarta ed ultima partecipazione a Venezia alla XLV Biennale, Opera Italiana, transiti. Negli ultimi anni Miccini ha portato avanti la passione per la poesia, infatti dirige una collana di poesia contemporanea per le Edizioni del Centro Culturale Gino Baratta di Mantova; ma non ha tralasciato la passione per esposizioni e rassegne, ne’ quella per le pubblicazioni, (citiamo il saggio Poesia Visiva e dintorni, Firenze, Meta, 1995). I suoi lavori figurano in numerose collezioni pubbliche tra cui: Museo della Pilotta, Parma; Galleria d’Arte Moderna, New York; Museo BWA, Lublino; Galleria d’Arte Moderna, Céret; Galleria d’Arte Moderna, Mantova; Gallerie Civiche di Bologna, Valencia, Anversa, Lodz, Varsavia, Malo, Firenze.
Negli anni Novanta l’esperienza della Poesia Visiva è ancora particolarmente forte nei lavori di Eugenio Miccini. L’opera La poesia incendia le parole del 1997, trae la propria forza dall’essenzialità di pochi elementi giustapposti: una scritta semplice ma di grande impatto emotivo abbinata ad un collage di carte di giornale che invade lo spazio centrale della composizione.
Il centro d’attenzione è catalizzato dalla grande fiamma rossa che arde e si autoalimenta da quegli stessi elementi di cui si compone: semplici ritagli di giornale, che l’artista incolla seguendo un disegno mentale dal quale scaturisce una forma sinuosa e vitale, come lo è il fuoco quale elemento primigeneo. Nella consacrazione del falò delle parole, si evidenzia provocatoriamente, l’esigenza di uscire dalla gabbia dorata creata dall’intellettuale, che appunto solitamente si limita alla parola, per ricercare invece, un nuovo linguaggio nato da una rielaborazione intelligente della banalità invadente su cui poggia la comunicazione sociale, come afferma lo stesso Miccini “[…] Io tento di sollevare dal loro livello zero gli atti di parole e di immagini che realizzano la comunicazione sociale ed anche gli stereotipi culturali […]” (cfr. E. Miccini, Il poeta è un evaso dal quotidiano, in Poesia Visiva 1963-1988. 5 maestri, Firenze 1988, pp. 426-428). Supportato da un attento studio della teoria delle comunicazioni, l’artista, propone un’indagine critica su tutti i generi di linguaggio precostituito, dal più aulico al più volgare, per raggiungere una selezione più ampia di sperimentazione espressive le quali, devono costantemente relazionarsi con un importante problema pragmatico e cioè, quello del rapporto con il pubblico che rischia di soccombere all’omologazione di un gusto comune. Miccini è tra i primi ad accorgersi che il linguaggio verbale si sta esaurendo e deteriorando. Sono dunque necessari nuovi modi di espressione più immediati che, si possono concretizzare, attraverso un distacco dai tradizionali mezzi linguistici in favore, di un linguaggio moderno, usato dalla comunità contemporanea, ottenuto omogeneizzando in un’unica forma visiva, parole e immagini, simboli e segni tra loro eterogenei. Con queste premesse il lavoro di Miccini prosegue e si sviluppa tuttoggi (dopo oltre un trentennio), attraverso una linea ideologica, fondamento di un vero e proprio “terrorismo comunicazionale” e riflesso di una neoavanguardia che ha segnato la cultura e la generazione del Sessantotto. S.B.