Dopo una prima formazione figurativa, si avvicina al post cubismo, per approdare poi all’astrattismo, in particolar modo alla corrente dell’Astrattismo Classico, che nasce con il Gruppo Arte d’oggi a Firenze, nel 1947. Monnini è uno dei firmatari del Manifesto dell’Astrattismo Classico, redatto da Ermanno Migliorini nel 1950, insieme a V. Berti, B. Brunetti, G. Nativi. Ricordiamo le più importanti esposizioni del gruppo che si svolgono nei due anni precedenti la redazione del manifesto: la Rassegna di Pittura e scultura italo-francese, alla Galleria Firenze, nel marzo 1948; 4 Pittori: Berti, Brunetti, Monnini, Nativi, alla Galleria Vigna Nuova, novembre 1948; 3. Mostra Internazionale Arte d’Oggi, Palazzo Strozzi, giugno 1949.
Nel 1951 realizza la prima personale alla Galleria Numero; sono anni in cui il suo lavoro procede in maniera autonoma e più distaccata dall’attività del gruppo che, con l’esclusione dalla Biennale di Venezia, conclude l’esperienza di Arte d’Oggi sottoscrivendo la dichiarazione Fine dell’Astrattismo Classico (Firenze, 20-30 giugno 1950). Monnini lavora isolato fino al 1955: applicando la ricerca artistica alle diverse realizzazioni di ambito artigianale (dalla ceramica a i tessuti) intraprende con la moglie, Nicol de Palma, una collaborazione con l’atelier di moda dello stilista fiorentino Emilio Pucci e continua a sviluppare la sua pittura in modo autonomo, esponendo i lavori di questo periodo, in una personale alla Galleria La Cittadella ad Ascona (Svizzera), 1955 e alla Galleria La Strozzina (Firenze), in una mostra che vede riuniti gli ex-compagni di Arte d’Oggi.
Dal 1963 vive e lavora a Milano, dove si avvicina ad esperienze artistiche informali. Negli anni Settanta, il suo lavoro culmina in un genere artistico definito astratto-surreale, basato su un linguaggio delle forme evocative, di cui l’esempio massimo è la mostra del 1970 intitolata I Demoni alla Galleria Shubert di Milano. Dal 1979 è docente di Teoria della Forma, Teoria del Colore e Geometri Descrittiva, presso l’Istituto Politecnico Internazionale – Centro superiore di Architettura e Design – di Milano. In questo periodo l’artista è particolarmente interessato al design e all’architettura realizza: coordinati di rivestimenti per pareti e pavimenti e un allestimento per una sala riunioni alla Snam Progetti di Assago a Milano.
Gli anni Ottanta concludono il suo percorso artistico che ora volge verso una sorta di “ritorno alle origini”, ossia una riscoperta dell’ordine e del rigore geometrico che si sviluppa in uno spazio mutante: si tratta di costruzioni di solidi che mutano aspetto a seconda del punto di vista e di come vengono percepite dallo spettatore
Le sue opere fanno parte delle seguenti collezioni: Civica Galleria D’Arte Moderna, (esposizione permanente), Gallarate; Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze; Ca’ Pesaro, (esposizione permanente), Venezia; Palazzo Reale-Cimac (esposizione permanente), Milano; Galleria D’Arte Moderna di Palazzo Pitti, (esposizione permanente), Firenze.
L’opera è riferibile al 1952 e fa parte di quella serie di lavori realizzati da Alvaro Monnini subito dopo il definitivo scioglimento del gruppo Arte d’oggi avvenuto nel 1950. Insieme ai giovani compagni di lavoro, quali Berti, Brunetti, Nativi, con i quali sostiene accese discussioni nella bottega del colorista Rigacci, l’artista scopre quanto è importante assumersi la responsabilità di nuove scelte artistiche con la convinzione di poter creare una società migliore, anche attraverso un’arte nuova, generata dall’entusiasmo, come afferma lo stesso Monnini: “Rimaneva viva la nostalgia dell’entusiasmo, della speranza e della volontà di creare una società migliore, più giusta […]. Idealismo? Forse. So che se non avessimo avuto quelle certezze radicate in noi, non avremmo potuto dipingere […]” (cfr. A. Monnini, La nostalgia dell’entusiasmo, in Astrattismo Classico, Firenze 1980, pp. 75-76). Queste parole sono state scritte dall’artista molti anni dopo la divisione del gruppo, quindi rappresentano una testimonianza a posteriori di quei particolari eventi, che ora cercano una giusta collocazione nella sua mente; svanita quella eccitazione iniziale resta il segno di quella esperienza passata, alla quale l’artista, negli anni successivi, guarda con una certa amarezza, ma che costituiscono, al tempo stesso, la sua prima e fondamentale formazione artistica.
L’influenza di quel periodo si riflette e si rinnova in continuazione nei lavori successivi: ne è un esempio Struttura del 1952, che fa parte di quella fase successiva, riconosciuta come una delle più solitarie, in cui l’artista preferisce isolarsi dalle esperienze di gruppo, per concentrarsi sul suo lavoro. Pur mantenendo una propria fisionomia e carattere, l’opera di Monnini volge verso forme meno legate al rigore compositivo tipico delle costruzioni astratte degli anni precedenti, per accostarsi ora, allo studio di strutture vibranti di una materia cromatica più pastosa e spessa. Riferendosi a questi lavori degli anni Cinquanta, Claudio Monnini afferma: “Figure complicate dall’apparente casualità, ma in realtà calibratissime, in cui costruzioni di bacchette o di sottili spatolate si strutturano in divenire: crescono, esplodono o infine crollano conferendo allo spazio una connotazione molecolare dall’equilibrio precario” (cfr. C. Monnini, Un panorama sul percorso di Alvaro Monnini, documento del 9 giugno 1991).
Per il momento, sembrano abbandonate anche le campiture squillanti e luminose dei dipinti passati, in favore di un recupero di colori più tenui, quasi sbiaditi, che appaiono, timidamente, dietro una fitta trama di pennellate taglienti. Il dipinto, si sviluppa sulla tensione di una serie di linee di forza, evidenziate da una selezione cromatica incentrata su tonalità fredde del verde e marrone, abbinati al nero e a qualche tocco di ocra; la struttura dell’opera, nell’insieme, è basata su una organizzazione dinamica dello spazio che si contrae sull’intreccio delle verticali ed orizzontali. S.B.